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SCONFITTE SOLITARIE, MIRACOLATE DAL RICORDO
Nei primi mesi della nostra vita percepiamo, amiamo ed esploriamo senza usare le parole. Impariamo presto a dare un nome alle nostre esperienze: le parole stesse sono indispensabili per costruire un mondo riconoscibile e a misura umana, che sia in grado di includere l’esistenza degli altri e dell’altro. Ma rimane, comunque, il ricordo implicito dei tempi in cui la parola non c’era. E insieme al ricordo rimangono, esili ma tenaci, spazi e dimensioni che la parola riesce soltanto a sfiorare.
Se non possiamo raccontare, o possiamo raccontare poco, la parola deve allargarsi a richiamare e ricamare, per girare intorno a ciò che non è stato ma poteva essere, a ciò che è stato ma non si può dire, a ciò che forse non è reale o forse lo è troppo per i nostri sguardi limitati.
Il racconto a volte è presente anche in quest’opera “in bilico tra follia e realtà”. La vita e la morte si fanno strada a poco a poco, sempre sotto un velo tenue: storie dai contorni molto forti, violenti; storie che non seguono la linea abusata del tempo. Altre volte la traccia temporale si annulla, lasciando spazio ad altri tipi di strutture, che stimolano memorie, sinestesie, echi di significato: residui solidi di ciò che solido non è.
Non si leggono d’un fiato, le parole di questo librino. Si gustano a poco a poco, come un liquore molto forte. Distillato per gli intenditori.
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