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Esiste la saggezza?
"Non esiste saggezza" è la raccolta dei racconti di Gianrico Carofiglio, nei quali l’autore dà prova di possedere la stessa abilità – già riconosciutagli per i romanzi - anche nella narrazione breve, ossia in un genere ove il processo artistico-creativo si deve concentrare nella sintesi piuttosto che nell’analisi, nel tacere più che nel descrivere, nel selezionare più che nel diffondersi.
L’opera raccoglie testi già pubblicati che sarebbero rimasti altrimenti sparpagliati nel mare magnum di ciò che è stato scritto. Come “Non esiste saggezza”, il racconto che dà il nome alla raccolta e che narra di un incontro improbabile tra un automobilista e una bambina che, comparsa in prossimità di un casello autostradale, chiede di essere accompagnata verso il mistero.
Inedito è invece “Il maestro di bastone”, la storia di un adolescente che, nella fase conflittuale della separazione dei genitori, trascorre una vacanza dai parenti nella Murgia. Nella villa di campagna Enrico scopre il fascino dell’avventura e fa esperienza del discrimine tra coraggio e incoscienza nei turbamenti e nelle inquietudini che caratterizzano l’adolescenza.
In “Intervista a Tex Willer” ci si interroga sull’autonomia che i personaggi hanno rispetto agli autori che li creano: «Tex W.- Lei sa cosa c’è negli spazi fra le vignette?… C’è tutta la vita che non è mai stata raccontata. Ci sono le vicende che non diventano storie – per scelta o più spesso per caso – e si perdono nei gorghi del tempo che passa. Ci sono le occasioni non colte, le cose che non vogliamo ricordare o non vogliamo sapere di noi stessi e degli altri. Gli spazi fra le vignette sono il sottosuolo della nostra coscienza». Come dire che lo spazio bianco non è vacuo, ma è zona vitale e scenario ove i protagonisti e il loro mondo se ne stanno zitti zitti a tramare. A crearsi in un processo insondabile.
Salvo affermare, in un altro punto, che "Le cose non esistono se non abbiamo le parole per chiamarle."
Anche “Il paradosso del poliziotto” non è un racconto classico, ma un palcoscenico sul quale rappresentare metodi, tecniche e, per quanto possibile, regole. Nel testo si sostiene che un interrogatorio deve essere condotto attraverso tre fasi:
creare un rapporto con il sospettato;
razionalizzare e minimizzare il suo comportamento;
proiettare la sua responsabilità.
Se non si usano le parole “omicidio, morto, delitto”, ma soltanto “fatto, incidente, episodio” si evita che espressioni cariche dal punto di vista emozionale riportino il sospettato alla gravità del suo comportamento, compromettendo le possibilità di una sua confessione. E soprattutto bisogna che l’inquirente sospenda ogni giudizio morale, per non offuscare l’intuito investigativo.
Il paradosso del poliziotto, in fondo, consiste proprio in questo: nel fatto che l’investigatore – almeno in parte - ha le medesime pulsioni criminali dell’assassino…
In definitiva: non aspettatevi soltanto racconti, ma riflessioni. Metastorie. Filosofia. Qualcosa di più rispetto a quanto generalmente ritroviamo in una semplice novella… E ottimi spunti anche per chi si diletta a scrivere.
Bruno Elpis
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Ciao, Pia.
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Pia