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Rapporto madre-figlia (la bambola)
In questo romanzo Elena Ferrante analizza il rapporto madre figlia (la bambola).
La bambola è il centro di questo racconto per buona parte simbolico.
Con la sua scrittura algida, elegante, distaccata Elena riesce a parlare di un argomento che per lei è sicuramente doloroso e lo fa su due piani di lettura. Sul primo analizza la sua vita, parlandone in prima persona ma guardandosi con gli occhi severi di sua madre. La protagonista Leda è una donna di mezza età colta, fredda, antipatica, sola. Ha lasciato le figlie piccole per inseguire se stessa e una brillante carriera. Ma anche per quanto riguarda la carriera insinua nel lettore malizioso dei dubbi: era una borsista come tanti, che lavorava molto meno di altri. Ha scritto un unico lavoro (due paginette striminzite) che però viene citato dal luminare del settore. Lavoro brillante, geniale? Forse. Elena insinua però nel lettore il dubbio che non sia così. Il luminare le fa delle avances che lei accetta con entusiasmo. Ne diventa l’amante e la ritroviamo a 50 anni professore ordinario, sola, a ripercorrere il rapporto travagliato con le figlie, soprattutto con Bianca, quella che più le assomiglia e a spiare i vicini d’ombrellone, una famiglia come era la sua: padre-padrone,madre, figlia di pochi anni, parenti serpenti.
In realtà la famiglia descritta è proprio la sua. La bambina si chiama Elena-Lena-Lenuccia. La protagonista cinquantenne ha un nome simile, Leda. Il racconto inizia con una festa di compleanno, in cui la chiassosa famigliola invita tutti a spostarsi dagli ombrelloni vicini per fare posto ai parenti. Anche lei viene invitata a spostarsi ma rifiuta: lei vuole fare parte della famiglia pur esibendo un altezzoso distacco. Li spia ma finge di leggere sotto l’ombrellone. Il suo interesse è rivolto soprattutto alla bella, giovane madre di Elena e non alla bambina che sembra guardare con antipatia. Elena-Leda è la figlia oscura, oscurata dalla bellezza della madre. Più volte nel racconto viene citata la rivalità madre figlia: le figlie di Leda sono gelose della madre che ha un atteggiamento seduttivo verso i loro fidanzati. Leda ripropone a sua volta la rivalità sessuale con la madre-Nina flirtando con lo spasimante di lei (un ragazzo) con cui cena e a cui chiede se vuole salire in casa sua per scoprire con delusione che il suo interesse non è per lei ma per le chiavi di casa, per portarci Nina. Di fronte alla madre a qualsiasi età lei sarà sempre perdente, la figlia oscura. Come si sentono perdenti le sue figlie rispetto a lei. Forse proprio per questo, per rompere il rapporto morboso madre-figlia simboleggiato dalla bambola (sporca, piena di sabbia, con un verme dentro, con la quale la bambina sembra mimare delle scene erotiche), Leda lascia le figlie per tre anni al marito, marito che fa quello che può ma a un certo punto le porta dalla madre di Leda-rivale. Leda non si oppone. (Nel racconto Leda riporta Elena che si era perduta a Nina ma ruba la bambola). Pur lasciando crescere per un certo periodo le bambine alla nonna non riallaccia con lei un rapporto.
Interessante il fatto che la bambola viene riportata da Leda a Nina alla fine del racconto. Troppo tardi. Nina non la perdona. Sua madre (la madre di Leda) muore senza che si siano riavvicinate. (Lo spillone che la fa sanguinare).
La bambola che Leda ruba alla piccola Elena ci riporta alla bambola della sua infanzia che Leda regala a Bianca ma che Bianca rifiuta. La sporca, ci si siede sopra. Leda la scaglierà arrabbiata dalla finestra (i tre anni di fuga) in un infantile momento di rabbia.
Alla fine del racconto, Elena-Leda, la figlia oscura riceve la telefonata consolatoria di Bianca e Marta aprendo uno spiraglio in questo perpetuarsi di un rapporto malato e ombroso da cui sembrava non esserci altro scampo che la fuga o la lontananza.
Elena Ferrante è una delle nostre scrittrici più interessanti. Dietro tanta bravura, tanta cultura, dietro l’anonimato credo si nasconda una grande nostalgia della sua infanzia oscura e dolorosa e tanta fragilità.
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Comunque questo mi Sa che lo prendo, ho voglia di un suo libro.
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