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Don Camillo
Sebbene all’esatto estremo opposto per intonazione e coloritura ideologica rispetto a ‘Novecento’, questo libro ha risvegliato nel sottoscritto molte delle sensazioni evocate dalla prima parte del film di Bertolucci. Perché anch’io vivo in un paese rivierasco che un alto argine separa dal Po, barriera che consente al fiume un po’ di libertà, ma non di fare il bello e il cattivo tempo come accaduto per secoli. Niente paura, però: chiunque può godere della bellezza di questi racconti, scritti con lingua semplice eppure coinvolgente, grazie alla quale lo scrittore parmense dosa con sapienza atmosfere e sensazioni. Uscite in origine sul ‘Candido’, le storie hanno all’inizio una struttura molto semplice che sta tra l’’annaffiatore annaffiato’ e Tom e Jerry: inizio tranquillo con Peppone e i rossi che architettano qualche piano e accelerazione nel momento in cui Don Camillo parte in contropiede per ribaltare prospettiva e risultato. Poi la struttura muta, la lunghezza media aumenta e i due personaggi finiscono ad assomigliarsi (nonché a parlarsi e collaborare) sempre più: divisi dalla fede – uno in Dio, l’altro in Stalin – ma d’accordo sui valori fondanti dell’esistenza. Negli ultimi due episodi, al divertimento scatenato e alla presa in giro si aggiunge una vena di malcelata malinconia: un ulteriore cambiamento che, come gli altri, non va mai a scapito della godibilità delle storie, anche se si riduce un po’ lo spazio riservato al crocifisso-coscienza del combattivo parroco, bensì contribuisce a evitare qualsiasi rischio di ripetitività. Malgrado le assonanze indicate più sopra, va detto che in queste pagine c’è qualcosa di più della comica o del cartone animato e il lettore, tra un sorriso e una risata, può scorgere con facilità l’autore dietro i suoi personaggi: il cattolicissimo Guareschi non poteva sopportare i comunisti, ma più ancora il suo nemico è il progresso che viene a corrompere il piccolo mondo rurale (e antico). Come dice Michele Serra nella prefazione della mia vecchia edizione uscita allegata a ‘Cuore’, il Progresso era poi uno dei valori fondanti delle sinistre e così un cerchio si può chiudere: altrettanto maltrattati sono comunque tutti coloro che possono attentare all’idealizzata semplicità contadina, come gli abitanti della città o, ahia!, la cultura. Di tutta questa sovrastruttura, si può volendo fare a meno, anche perché Guareschi sa disegnare momenti di grande poesia e inserirli nella dinamicità delle sue avventure: uno dei momenti più belli è il terzo dei racconti messi come premessa e non c’entra nulla con Don Camillo, ma è una meravigliosa storia di revenant, dalla struttura quasi di una ballata, che regala un brivido come gli horror padani di Avati e piacerebbe di certo a Nick Cave.
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