Dettagli Recensione
Graffiti di vita
“ I Graffiti “ è la definizione che Claudio Magris da alla scrittura di Roveredo, esperto di graffiti che la vita incide nelle nostre anime. Roveredo non è un letterato, è una persona che si è formato per le strade della vita, un vero outsider. Una vita, la sua ,molto sfaccettata fatta di alcool, degrado, ospedali psichiatrici, tutti questi luoghi e la sua esperienza ci hanno regalato i racconti che compongono questo libro, un uomo che dopo essere riuscito ad uscire dal tunnel dove era finito, oggi si adopera per gli emarginati, i drogati, i disadattati, mette alla mercé loro la sua esperienza. I racconti sono entusiasmanti, anche se qualcuno, criticandoli, li ha definiti troppo tristi e mesti. Ma qui sta la sua forza, non c'è tristezza o mestizia, i suoi personaggi che sembrano dei vinti dalla vita, che vivono ai margini della società, con abusi e soprusi riescono con peripezie varie a dare scacco alla loro vita e alla loro situazione. I personaggi di Roveredo riescono in maniera mirabile ad uscire da un fluire lento e inesorabile come un fiume a valle, loro danno un colpo netto, deciso per concludere questa fase, riuscendo a voltare pagina.
A questo punto mi sembra assolutamente necessario mostrarvi e rendervi partecipi di alcuni passi del libro, a mio avviso i più belli, o meglio quelli che hanno colpito il mio cuore, sono Parlare con le mani, ascoltare con gli occhi...e Mandami a dire. Posseggono il sole dentro ci rattristano e poi ci riscaldano. Il primo racconto, da me citato, parla del silenzio dei sordomuti, della sua esperienza, avendo avuto genitori sordomuti, a loro non puoi mandare a dire, necessita l'educazione costante della tua presenza, non si può parlare da una stanza all'altra, loro devono vedere la tua espressione , il tuo volto, i tuoi gesti. A loro non si mente perché se Dio ha tolto e negato delle cose gliene ha date altre, ma potenziate. Ma dal momento in cui loro sono venuti a mancare, il protagonista fa inondare la sua vita di rumore, lì dove prima regnava il silenzio.
Nel secondo racconto descrive la storia straziante di un'ospite dei manicomi chiusi dalla legge Basaglia. Tutti i pazienti furono smistati da parenti o conoscenti più prossimi, la vita di coloro che vivevano lì dentro era fatta di disperazione e dolore ma anche di affetti, sentimenti, amori, per quanto ci possa sembrare strano. La chiusura del manicomio è riuscita a fare proprio questo, ha diviso due persone che a loro modo si amavano, lui scrive a lei ogni giorno lettere, cercandola, invocandola, confessandosi e sperando che anche questa volta le sue lettere non ritornino indietro, “mandami a dire qualsiasi cosa”. “Ma la libertà chi l'aveva mai chiesta?”
C'è molto di più, quante parti ho saltato e non citato!
Mi dispiace veramente tanto non poter continuare a decantare e raccontare le piccole meraviglie e tesori che si trovano racchiusi nelle pagine di questo libro, con questo suo stile ruvido ed estremamente conciso, taglia di netto come un bisturi, ma questa recensione diventerebbe interminabile e senza scopo alcuno.
Magris definisce Roveredo totalmente estraneo a ogni formazione letteraria ma è grazie alla sapiente trasposizione su carta dei graffiti (che segnano la vita) che è divenuto un partecipe della letteratura a tutti gli effetti.
Grazie ai graffiti Roveredo ha segnato la mia anima.
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Bella recensione.