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Come siamo
Eravamo un popolo di santi, di poeti e di navigatori. Oggi, purtroppo, i primi si sono rarefatti, i secondi restano, ma un po’ in ombra, i terzi impattano contro gli scogli, assai noti, dell’isola del Giglio.
Ma come siamo veramente, insomma quali sono le autentiche caratteristiche dell’italiano?
Ne parla Vassalli in questo suo libro attraverso dei racconti, alcuni dei quali già noti, perché parte di precedenti romanzi. Per esempio “Il commendatore” e “Il padre della patria” sono parte integrante de Il cigno, un libro riuscitissimo sullo scandalo del Banco di Sicilia e sull’assassinio del commendatore Emanuele Notarbatolo, due brani, peraltro, di grande letteratura, con una stupenda descrizione di un Crispi ormai decrepito. Di vizi ne abbiamo tanti e sarebbe lungo elencarli tutti e mi limito perciò solo a citare l’opportunismo, la furbizia, il narcisismo, anche se mitigati dalla simpatia. Ce n’è uno, però, in cui eccelliamo ed è costituito dalla eccezionalità. Siamo convinti di essere speciali e, in quanto tali, che i nostri vizi caratteristici diventino pregi. Al riguardo nel libro c’è una storiellina, che lo apre e lo chiude, con Dio che, nel giorno del Giudizio Universale, chiama a sé i vari popoli per giudicarli. Si presentano così il cinese, l’arabo, insomma tutti; quando con voce ferma e forte chiama l’italiano, nessuno risponde, nessuno si porta al suo cospetto, anzi, isolato in mezzi a tutti, con fare sorpreso l’italiano dice” Chi, io?”. Indubbiamente si distingue con la sua individualità, la sua innata anarchia. E così mentre Dio è benevolo con gli altri, si trova in imbarazzo quando deve indicare la destinazione dell’italiano per la vita eterna e alla fine ha un colpo di genio (e chi altro potrebbe averne, se non Lui?). Ci considera così per quel che siamo, talmente immaturi da sembrare dei bimbi, e così il nostro posto non è né il Paradiso, né il Purgatorio, e nemmeno l’Inferno, bensì il Limbo.
Come se non bastasse c’è un racconto ulteriormente esplicativo, Il signor B., sì quel B. di Arcore, definito l’Arcitaliano, e in quelle righe si scopre così il segreto del suo successo, ma non è motivo di soddisfazione apprenderlo, anzi, nonostante una gradevole ironia dell’autore, resta un grande amaro in bocca, una sorta di disgusto anche per noi stessi.
Diverso dalla sua solita produzione, L’Italiano è tuttavia un libro che resta dentro, che porta a un’inevitabile autocritica, con l’avvertenza però di astenerci dal compiacimento nello sparlare di noi stessi, nel considerarci cioè anche in questo caso del tutto eccezionali.
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