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Per non dimenticare
Con il Capostazione di Casalino Chiara scrive gli ultimi racconti, mentre combatte con la malattia che lo porterà alla morte.
Si tratta di sedici prose, sedici memorie di fatti e accadimenti di quel mondo della provincia di cui l’autore luinese rimarrà il magnifico cantore.
Per quanto l’ironia sia sempre arguta, in sottofondo è presente la malinconia di chi sa che sono le ultime occasioni per far rivivere personaggi, spesso oscuri, e che pure, nel loro piccolo, hanno contribuito alla storia del mondo.
Dalla vicenda quasi kafkiana del signor Pettoruto alla figura rassegnata, e pur illusa, dell’amico Trenk, passando per il ferroviere svizzero Camillo e, soprattutto, per il personaggio di Giuseppe Cuniberti, in cui l’autore sembra voler riflettere se stesso, è tutta una carrellata di ignoti a cui la penna e la scrittura donano luce e fulgore, ombre che tali sarebbero rimaste, se di loro Chiara non avesse stilato l’ultimo epitaffio.
Siamo lontani dai clamori e dalle risate di Il piatto piange, no qui al più si strappa un sorriso, ma protagonisti e vicende sono di quelli che più restano dentro perché lontani dalle caricature, più umani, per non definirli più simili a tanti che non conosciamo e che incontriamo per la strada; ognuno, per quanto ignoto, ha la sua storia e tutti insieme concorriamo, senza saperlo e magari senza lasciar traccia indelebile del nostro passaggio, alla grande storia dell’umanità.
In un racconto (I fratelli Mascherpa) l’autore giustamente scrive “ Vite sprecate, gettate al vento, si potrebbe dire. Martiri di nessuna fede, ombre che sono passate senza lasciare un segno.” Conclude, però, con quattro righe in cui c’è tutto il pensiero di Chiara “ Ma sulla tomba del Tonchino, un loculo in fondo al portico di un cimitero, è scritto sopra una piccola lapide il suo nome e cognome: Mino Mascherpa. Sotto, a caratteri più piccoli, si legge: “Armida Perego non lo dimenticherà mai.”.
Ecco, con queste ultime prose anche Piero Chiara ha posto una lapide sul loculo di un mondo che c’era e che è ormai scomparso, ha dato voce e luce a ombre che altrimenti si sarebbero perse nel buio, ai tanti del piccolo, del paese, di quelle comunità che ora sono più numeri statistici che esseri umani connessi in un unico destino, tanto che è come se in calce, ma non in caratteri minuscoli, bensì a chiare lettere avesse scritto: Piero Chiara non vi ha dimenticato.
E sono così belli questi racconti, completi, storie che hanno un inizio, una fine, uno svolgimento talmente esauriente da non far rimpiangere un loro eventuale ampliamento in romanzo, per quanto breve, il che, come riporta Giovanni Tesio nell’introduzione, dimostra un particolare attaccamento dell’autore per la prosa breve, ribadito anche nella risposta che diede a una domanda sul “perché” del racconto: “Bisognerebbe chiederci perché il romanzo”.
Il capostazione di Casalino è un canto del cigno, ma è un canto stupendo e, forse, è il capolavoro di Piero Chiara.