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IL VIZIETTO DEL FILOLOGO
Quando ami la letteratura e ti ritrovi, dopo anni frequentati in una seria università, ad armeggiare spesso con le armi della filologia, ti verrebbe voglia di piangere. L'innocenza e la felicità che il mondo libro ti apriva quando la tua mente, per quanto poco consciamente, nenache sospettava l'esistenza di certe questioni, per così dire 'tecniche', gradualmente si perdono nell'erudizione e nel cavillo, sminuendo la magia che la scrittura sa dare a chi la ama. Allora c'è da chiedersi: come fa uno come Segre, grandissimo critico e profondissimo conoscitore della letteratura italiana e romanza (ma non solo), studioso tra i più importanti del nostro panorama culturale (cioè, quello che resta) a scrivere delle narrazioni dimenticando di essere quello che è?
Semplice, non ci riesce, anche se il risultato artistico definitivo è buono. Anzitutto il libro, per le sue sottili allusioni e le delicate ironizzazioni, presuppone un pubblico abbastanza eletto. Per quanto i racconti in loro stessi siano piacevoli e leggibili, tutta la loro novità si può misurare solo conoscendo (anche non in profondità, ma più si conosce più si apprezza) gli originali, in quanto su questi si misura e si sbriglia la fantasia dell'autore. Che cerca di creare varietà stilistiche, polifonia di voci, giustificazioni fantastiche, sliding doors narrative. E lo fa con abilità.
Le storie sono brevi, snelliscono opere contenute in migliaia di versi (la chanson de roland) o in lunghi anni di vita (machado e guiomar), ci mostrano un'Isotta che sembra uscita da una battaglia sessantottina con un linguaggio da teenager e un malinconico Pavese sbattuto tra le titubanze di un ipotetico ritorno impossibile.
Il fatto è che in tutto permane sempre quell' "in più" che differenzia un critico da uno scrittore e che allo stesso tempoè un "in meno": c'è un sottofondo continuo, come dei violini ostinati che sussurrano,che più che suggerire giustificano e cercano di indottrinare narrando. Pertanto i nodi delle storie restano solo tali, non vengono sviluppati, le trame sono ridotte all'osso.
In definitiva, è una buona lettura per chi volesse saperne di più sulla letteratura europea - la varietà dei racconti si potrebbe definire cronotopica - ma odia i manuali scolastici. E diventa un'ottima lettura per chi afferra tutti i giochi che l'autore si diverte a inscenare con la tradizione, salvo sentirsi, a volte, di fronte all'ennesimo (as)saggio di storia della letteratura.