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Un po' di luce
Fra il 12 dicembre 1969 (strage di piazza Fontana a Milano) e il 2 agosto 1980 (strage della Stazione di Bologna) si sono consumati in Italia i cosiddetti anni di piombo, secondo una strategia della tensione che vedeva da un lato movimenti extraparlamentari di destra e dall’altro analoghi di sinistra.
Fu un periodo tragico, purtroppo indimenticabile e di cui ancora si ignorano, più che le origini degli eversori, le menti segrete che li manovravano.
In un contesto di stragi senza vittime predestinate, di gambizzazioni, di rapimenti, di omicidi mirati, si inserisce anche la famosa vicenda di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La mattina del 16 marzo 1978, lo stesso giorno il cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti e costituito con l’appoggio del Partito Comunista Italiano si apprestava a presentarsi al Parlamento per il voto di fiducia, l’automobile che trasportava Aldo Moro dalla sua residenza alla Camera dei Deputati fu intercettata da un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse. Gli uomini della scorta, 5, furono tutti uccisi, mentre il presidente della Democrazia Cristiana venne sequestrato. Tenuto in prigionia per 55 giorni, processato e condannato a morte, il suo corpo fu fatto ritrovare il 9 maggio nel baule di una Renault 4 parcheggiata a Roma in via Caetani, ubicazione non scelta a caso perché a poca distanza da Piazza del Gesù, dove c’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana, e da via delle Botteghe Oscure, dove invece si trovava la sede nazionale del Partito Comunista.
Leonardo Sciascia, all’epoca parlamentare del Partito Radicale e poi membro della commissione d’inchiesta sul delitto Moro, ha scritto un libro che ripercorre con spirito critico quei quasi due mesi di prigionia dell’uomo politico democristiano.
Sulla base dei comportamenti dei politici, soprattutto dello scudo crociato, e delle lettere che Moro faceva pervenire ai compagni di partito e ad altri, assistiamo al tentativo di dare una risposta ai tanti interrogativi della vicenda.
Scritto a caldo, in quell’anno rovente, pubblicato prima in Francia e solo successivamente in Italia, L’affaire Moro suscitò, come del resto aveva già previsto Sciascia, un’ondata di incomprensioni e di polemiche, e questo costituì anche la riprova che il lucido percorso intellettuale seguito dall’autore per arrivare ad avere un po’ di chiarezza in effetti aveva raggiunto il suo scopo.
Uno scrittore attento a svelare ciò che si cela sempre sotto l’evidenza non poteva, sulla base dei pochi elementi certi, non praticare un’analisi fredda, razionale, che lo portasse a formare un’idea sì personale, ma suffragata dalla bontà del metodo, consistente nell’interpretazione delle lettere inviate dal politico rapito dal suo luogo di prigionia. Moro, che era stato un maestro nel dire in un modo per far intendere in un altro, viene così svelato grazie a quelle frasi, a quei periodi mai sicuramente dettati dai suoi carcerieri, come invece molti dei suo colleghi di partito sostenevano.
L’analisi logica di un testo di un letterato della qualità di Sciascia, capace di discernere fra apparente inutile forma e reale velata sostanza, finisce con il coinvolgere il lettore che cerca di pervenire a una sua personale interpretazione, tuttavia quasi sempre coincidente con quella dell’autore siciliano.
Emerge così la certezza che un partito che non aveva mai avuto il concetto di stato improvvisamente trovò nei suoi massimi esponenti uomini ampiamente permeati da questo principio e così, opponendosi a uno scambio di prigionieri, come richiesto dalle Brigate Rosse, Andreotti, Cossiga, Piccoli, insomma gli alti nomi della Democrazia Cristina, di fatto consentirono l’esecuzione di Aldo Moro, un atto crudele tuttavia all’apparenza inutile.
Sciascia accenna appena – e del resto costituisce solo un’ipotesi non suffragata da riscontri certi - che certamente l’aver Moro favorito un governo con l’appoggio del Partito Comunista non risultò cosa gradita agli Stati Uniti, e nemmeno all’ala marxista estrema, più propensa alla lotta di classe che agli accordi politici.
L’impressione che si ricava è che la morte del presidente della Democrazia Cristiana fosse stata decisa a priori, indipendentemente dall’esito di un processo politico in cui Moro non disse nulla di più di quel che già non si sapesse.
L’affaire Moro, che riporta alla fine la cronaca storica di quei 55 giorni, nonché la relazione di minoranza presentata dallo stesso Sciascia al termine dei lavori della Commissione Parlamentare d’inchiesta costituita per far luce sull’intera vicenda (e la relazione di maggioranza più che far luce amplia le zone d’ombra), è un libro assolutamente da leggere, per il suo elevato valore storico e politico, unito all’elevata qualità letteraria che ha sempre contraddistinto le opere del grande scrittore siciliano.
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