Dettagli Recensione
Come si fabbrica il terrorismo nel terzo millennio
Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un proliferare di teorie cospirative e controcospirative sull’11 settembre. Fra le critiche più comuni che vengono rivolte alle teorie cospirative c'è quella per cui due o più persone non possono tenere un segreto, e quindi una cospirazione che coinvolga due o più persone sarebbe impossibile. Eppure, a pensarci bene, la versione ufficiale vuole che l’11/9 sia una cospirazione che coinvolge almeno una ventina di persone. Quindi se ne dovrebbe dedurre, come minimo, che il governo sapeva e non ha fatto nulla per fermarli. E così è stato, infatti: parti di istituzioni governative come l’FBI sapevano che alcuni terroristi (che peraltro hanno risieduto presso basi militari statunitensi) stavano per preparare qualcosa di grosso, e non hanno alzato un dito. Questi fatti, assodati, stanno scritti anche nel “Time”, che ha posto come persona dell’anno la "spifferatrice" dell'FBI Colleen Rowley. Ciò, e un immensa mole di fatti documentati la troviamo nell'importantissimo libro di Webster Griffin Tarpley, "La fabbrica del terrore" (Arianna editrice, 2007). Le indagini condotte da Tarpley lasciano pensare che una rete canaglia di terroristi, che tagliano trasversalmente le istituzioni governative statunitensi, abbia fabbricato appositamente varie operazioni facenti parte dell’11 settembre, per ottenere quella “Nuova Pearl Harbour” che alcuni strateghi americani (come Brzezinski e i membri del PNAC) attendevano con trepidazione.
Il modello teorico offerto da Webster Tarpley nel suo nuovo libro contempla tre rami della rete canaglia: talpe, zimbelli e tecnici. Le talpe sono individui infiltrati in punti cardine delle istituzioni o elementi corrotti delle stesse: come Blair, Cheney). Gli zimbelli, o patsies, sono le “teste di turco” e i capri espiatori della situazione, abbindolati dai servizi segreti, come Lee Harvey Oswald. Nell’11/9: Mohammad Atta, Moussaoui lo stesso Bin Laden e gli altri. Tarpley li considera sì come terroristi tout court, ma anche come terroristi “da supermercato”, ossia terroristi deboli, e in sostanza controllati e manipolati dall’alto. Infine ci sono i professionisti (killer, tecnici, esperti mercenari, che magari provengono da altri paesi, vanno in USA, fanno il loro sporco lavoro e se ne tornano a casa).
Non si può leggere questo libro da cima a fondo senza smettere di credere al mito ufficiale tramandato con i media e con il rapporto della commissione nazionale USA.
Tarpley ormai è riconosciuto come il ricercatore di punta sul terrorismo di Stato e in particolare sull’11 settembre, e le 653 pagine del suo La fabbrica del terrore sono la punta di un iceberg che sta di nuovo spaccando l’America in due. Tarpley è l’autore che con un solo libro, e con la sua partecipazione a una trasmissione della CNN con Charlie Sheen, aveva messo in fibrillazione milioni di americani. Con le sue seguitissime conferenze per tutti gli States (ma di recente ha svolto un tour anche in Italia) sta riunendo un grande gruppo di persone che andranno presto a fondare un nuovo partito, il quale avrà al suo centro la discussione pubblica della questione cruciale del ventunesimo secolo: l’11 settembre. Tarpley ha offerto con il suo libro una mole di dati enormi, gli atti di un autentico processo indiziario. Gli indizi che offre sono moltissimi, quasi tutti degni della massima attenzione, e più che sufficienti per cestinare il rapporto ufficiale della commissione governativa. Purtroppo restano indizi, e Tarpley ne è consapevole. Per questo egli chiede la creazione di una nuova commissione, stavolta internazionale, sul modello del Tribunale Russell-Sartre creato negli anni dei crimini di guerra del Vietnam. Quello può essere veramente il punto da cui ripartire per ridare l’America nelle mani degli americani. E già sono numerosi i gruppi che fioriscono intorno a questo ideale di un’indagine davvero indipendente. Questi comprendono ricercatori, scienziati, architetti, ingegneri di primo livello nelle migliori università statunitensi.
L’ascesa al potere dei neocon, di Bush, e in sostanza dell’apparato militar-industriale legato agli USA, rischia di essere, e forse è già, una caduta senza ritorno non solo verso le disfatte dissennate del Vietnam, non solo verso un nuovo maccartismo e una caccia alle streghe, ma verso la barbarie culturale e politica, se non alla catastrofe termonucleare.