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YES, WE COULD
La lunga biografia del periodo presidenziale di Barack Obama (circa 800 pagine) gli somiglia: è alta, generosa, attenta ai particolari, piena di scrupoli, decisionista quando serve… persino un po’ dinoccolata. In particolare, si potrebbe definire con due aggettivi: personale e istruttiva.
Personale per gli episodi che sceglie di raccontare (non è infatti “tutta la mia presidenza minuto per minuto”) e per il modo in cui li racconta.
Istruttiva perché riesce a chiarire come ci sia qualcosa che rende l’attività umana – anche quella delle persone più importanti, e forse in quel caso anche di più – slegata da banali, e talvolta interessati, cambi di prospettiva. Quel qualcosa è la contingenza, il momento, che nelle cose della vita significa tanto (se non tutto).
Puoi essere il Presidente degli Stati Uniti d’America, sulla carta l’uomo più potente del pianeta.
Puoi essere il primo Presidente Usa non di razza bianca, e già per questo simboleggiare una presenza storica. Puoi essere il Presidente Usa che da la “scossa”, che viaggia sin dal primo giorno del suo insediamento sulle ali di un enorme entusiasmo di massa (più o meno quello di un terzo degli abitanti del pianeta).
Ma poi devi misurarti con la contingenza, con il momento. Ed il momento dice che sei stato eletto mentre il mondo attraversa la più gravi crisi economica da quasi un secolo a questa parte, e sei tu l’uomo che deve porvi rimedio per il bene dell’economia globale.
Tra le pagine 357 e 359 del libro c’è un’improvvisa insenatura del racconto (come se il padrone di casa, nel bel mezzo di un ricevimento, lasci gli altri ai loro incontri e si chiuda in disparte in un angolo della casa, per guardarsi allo specchio), una sorta di confessione sospesa: “Sono passati più di dieci anni da quei difficili giorni all’inizio della mia presidenza (…) se nel giorno del mio giuramento avessi potuto prevedere che di lì a un anno il sistema finanziario degli Stati Uniti si sarebbe stabilizzato, quasi tutti gli esperti avrebbero messo in dubbio la mia sanità mentale (…) per molti pensosi critici, però, il problema sta precisamente nel fatto che avessi pianificato il ritorno a una normalità pre-crisi: avrei dunque sprecato un’occasione, o addirittura tradito le mie promesse (…) capisco tutte queste frustrazioni. Per molti aspetti le condivido anche (…) mi domando se in quei primi mesi non avrei dovuto osare di più, accettando maggiori sofferenze nel breve periodo in cambio di una profonda modifica che rendesse più equo l’ordine economico (…) Eppure, se anche avessi modo di tornare indietro nel tempo e sfruttare una seconda possibilità, non sono così sicuro che opterei per scelte differenti (…) I miei primi cento giorni in carica rivelarono un elemento fondamentale del mio carattere politico. Ero un riformatore, ma ero anche conservatore nel temperamento, se non nella visione. Non spetta a me dire se si trattava di una dimostrazione di saggezza o di debolezza.”
È il contesto a dire agli uomini chi sono, non il contrario.
Vale per chi va a votare, e cerca di mettere il proprio benessere nella mani di chi sembra in grado di tenerlo più saldamente. Vale per chi riceve quei voti e dovrà dirigere nel miglior modo il corso degli eventi.
La biografia di Barack si interroga su questo, sul dubbio, sulle notti di lavoro, sui preziosi collaboratori, sulla paura, sulla gente normale che incroci per un attimo nella vita... la gente che in quell’attimo accompagna l’occhiata che ti dedica, e che buca il muro dei bodyguard, con il silenzio significativo di chi, per puro istinto, ci crede.
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