Dettagli Recensione
La società "perfetta"
Trattato politico in forma dialogica, “Utopia” di Thomas More deve molto alla “Repubblica” di Platone che, insieme a molti altri autori greci, stava influenzando fortemente l’Umanesimo inglese. Lettura scorrevole appunto perché scritto in forma di dialogo (sebbene in certi tratti sia, in fondo, un monologo) sarà un testo che oltre a influenzare il pensiero politico del tempo darà origine al termine stesso di utopia - fino ad allora inesistente - e in seguito alla letteratura utopica e distopica con la quale ancora oggi ci dilettiamo.
Diviso in due libri, nella prima parte More si focalizza principalmente su quelli che sono i problemi sociali e politici dell’Inghilterra del tempo - la sottrazione di terra alla coltivazione per dedicarla all’allevamento, lo squilibrio tra delitti e relative pene, la disuguaglianza tra ricchi e poveri - mentre nella seconda ci si focalizza sulla descrizione territoriale, sociale e politica di Utopia, isola (ovviamente inesistente, essendo che il termine utopia stessa significa “non luogo”) visitata dal navigatore Raffaele Itlodeo, che ne illustra le peculiarità ai suoi due interlocutori: Tommaso Moro e Peter Giles.
Sorvolando sulla descrizione territoriale, Utopia si distingue per la centralità che, nel suo governo, ha l’uguaglianza tra gli uomini e l’espressione della loro virtù. L’uguaglianza è perseguita principalmente tramite l’abolizione della proprietà privata e con l’occupazione degli abitanti nel medesimo lavoro per un numero ridotto di ore al giorno. La “burocrazia” è gestita da un gruppo di oligarchi eletti secondo merito e i quali non possiedono particolari privilegi rispetto ai normali cittadini, facendosi semplicemente garanti del normale funzionamento della realtà utopistica dell’isola. L’ambizione e l’individualità sono completamente annullate, per lasciare il posto a una vita vissuta accontentandosi di soddisfare i propri bisogni primari, considerati come gli unici davvero necessari all’uomo. Di conseguenza oro e argento non sono di nessun valore, sono anzi posti in un ottica dispregiativa e usati per incatenare i prigionieri e gli schiavi (che neanche se la passano proprio male), o al meglio adoperati per pagare mercenari assoldati per eventuali guerre a scopo di difesa dell’isola o dei suoi alleati; la rarità di questi metalli non è infatti, agli occhi degli Utopiani, nient’altro che un modo che la Natura ha avuto per comunicarci la loro inutilità, mentre ci ha posto sotto agli occhi, in modo che sia facilmente reperibile, tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Una società proto-comunista esposta da More per mettere in risalto i problemi dell’Inghilterra del XVI secolo, e per porre all’uomo un’altra questione centrale del periodo umanista: i filosofi e i pensatori dovrebbero prestare il loro intelletto alla vita pubblica, facendo da consiglieri ai sovrani? Sarebbero disposti a barattare la purezza delle proprie idee (che incontaminate sarebbero viste da persone dedite al proprio interesse come eresie) per il compromesso del “male minore”, o finirebbero per imparare a zoppicare?
Una domanda a cui More non dà risposta, come probabilmente non ci è ancora riuscito nessuno.
“E che dire di coloro che accumulano beni superflui non per farne un qualche uso ma solo per compiacersi del contemplarli: è davvero un piacere quello che ne traggono o è soltanto immaginario? […] Eppure tu, sepolto che tu abbia il tuo tesoro, esulti come se finalmente fossi libero da qualsiasi pensiero? Ma se qualcuno te l’avesse rubato e tu, senza esserne a conoscenza, morissi dieci anni dopo, in tutti i dieci anni nei quali sei sopravvissuto al fatto, che differenza fa se esso ti è stato effettivamente sottratto o è rimasto al suo posto? In entrambi i casi te n’è venuto lo stesso vantaggio, né più né meno.”
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