Dettagli Recensione
Domani è un altro giorno
Federico Rampini, corrispondente de “La Repubblica” da New York ed ex vicedirettore de “Il Sole 24 Ore”, è un giornalista nomade, esperto osservatore della geopolitica mondiale. Lettore avido e scrittore prolifico, Rampini parte, in questa ultima opera, da un panorama odierno in cui il dibattito quotidiano è incentrato su termini quali pandemia, vaccino, Recovery Fund. Quest’ultimo, in particolare, stuzzica la speranza del giornalista, che a tal proposito elenca casi emblematici di civiltà sopravvissute ad eventi terribili, guerre a cui sono seguiti incredibili riscatti e progressi, cantieri dove si sono raccolte idee, energie, forze umane per costruire un futuro migliore.
Il primo caso è quello del crollo dell’Impero romano d’Occidente, archetipo di ogni decadenza. Un effetto combinato di molteplici fattori epidemiologici, sociali, climatici, religiosi e politici indeboliscono un impero agonizzante all’alba delle invasioni barbariche, simboleggiate dal sacco di Roma del 410 e dalla deposizione di Romolo Augustolo ad opera di Odoacre nel 476. Dopo un progresso millenario, con il Medioevo muore la conoscenza delle lingue antiche, avanza l’analfabetismo di massa. Si apre un “cantiere” destinato a dare risultati secoli dopo: il monachesimo. Umanesimo, Rinascimento ed Illuminismo non sarebbero stati gli stessi se i monaci non avessero permesso la trasmissione del sapere e la custodia di alcuni fondamentali tesori della civiltà occidentale ellenistica e latina.
Con un salto di circa 1400 anni ci spostiamo al 1861, data di inizio della guerra civile americana. È una vicenda priva di una narrazione unica. Nella versione dei “vincitori”, il conflitto ha avuto al centro l’abolizione dello schiavismo. Per il versante sudista è stata una colonizzazione ipocrita e capitalistica a danno dei sopraffatti latifondisti. Una storia di ideali e speranze, di diritti acquisiti e poco dopo nuovamente tolti, di amarezza e risentimento che permangono ancora oggi fino a sfociare in una tensione razziale mai del tutto sopita, in un clima culturale caotico e pressapochista tra razzismo esplicito e negazionismo da una parte, rito della cancellazione e revisionismo monodimensionale dall’altro. Una pagina storica controversa che, nonostante tutto, ha seminato per il futuro, creando le basi per importanti ideologie progressiste e conquiste democratiche.
Il capitolo successivo riguarda la Grande Depressione degli anni Trenta, la madre di tutte le crisi economiche e sociali contemporanee. Ai Roaring Twenties, i ruggenti ed edonistici anni venti de “Il grande Gatsby”, segue un tragico impoverimento di massa, raccontato da Steinbeck in “Furore”. Le ricette di Roosevelt inizialmente non funzionano. Ma il presidente è un leader coraggioso e pragmatico, in grado di cambiare radicalmente. Affianca il New Deal alla teoria del deficit spending keynesiano, manovrando con vigore le leve della spesa pubblica per far ripartire la crescita, e diventa globalista ed internazionalista con l’avvento della seconda guerra mondiale. Un’impalcatura vincente, architrave della ritrovata pace europea e della rinascita del capitalismo americano.
Pochi anni dopo entra in scena il celebre Piano Marshall, varato nel 1948. È la dimostrazione che la Storia è fonte di insegnamento. Nella pace di Versailles del 1919, la Germania viene colpita con pesanti clausole vessatorie che, insieme ad altri fattori, conducono al vittimismo, al revanscismo, al nazionalsocialismo. Una gestione della vittoria fallita. Al termine della seconda guerra mondiale il segretario di Stato Marshall, assecondato da Truman, non vuole commettere lo stesso errore. Desidera un nuovo ordine pacifico, un’Europa ricostruita che includa la Germania (Ovest) in qualità di locomotiva, al riparo da anarchia, miseria e rivoluzioni comuniste sovietiche. Gli Stati Uniti forniscono ai tedeschi un ulteriore aiuto: la cancellazione del debito estero che la Germania aveva nei confronti dell’America. Una lezione di magnanimità e lungimiranza che in tempi recenti è stata prima dimenticata, nel caso del dogma dell’austerity, e poi rivalutata con il Recovery Fund.
Tra le varie rinascite, la più improbabile è quella della Francia, successiva a tre sconfitte consecutive e ravvicinate. La debacle militare del 1940, l’invasione tedesca, il governo collaborazionista del maresciallo Pétain, la disfatta nella guerra d’Indocina, le violente battaglie in Algeria che dissanguano la Quarta Repubblica e isolano il paese a causa della forte condanna internazionale. Dopo un ventennio tragico, il generale De Gaulle inaugura la Quinta Repubblica nel 1959. Proclama il ritorno della grandeur francese e ridisegna il sistema politico con un meccanismo forte e stabile. Genio politico pragmatico, a metà strada tra il comandante e il pensatore, tra il trascinatore ed il fine stratega, restituisce alla Francia un ruolo centrale in politica estera ed inaugura l’asse franco-tedesco, lasciando tracce profondissime del suo passaggio.
Contemporaneo al riscatto francese, nel continente asiatico sale alla ribalta delle cronache il caso del Giappone, unico esempio di nation-building riuscito grazie ad un’occupazione militare di una potenza estera. Dopo la devastante sconfitta, i giapponesi si sentono liberati dall’ideologia militarista e dalle ristrettezze causate da uno sforzo bellico prolungato. Seguono i diktat dell’invasore, impersonificato dal venerato plenipotenziario generale MacArthur, importando la liberaldemocrazia americana ed abbracciando una serie di riforme politiche ed economiche. Recuperata la propria sovranità nel 1952, segue un boom economico senza precedenti, con il raggiungimento della leadership globale negli anni settanta e ottanta. A distanza di decenni, il Sol Levante è una superpotenza tecnologica, una società mediamente colta e raffinata con un’alta qualità della vita, capace di rinascere continuamente dalle macerie.
Lo sviluppo della Cina è infine il cambiamento più importante della storia contemporanea. Un vero e proprio riscatto sociale dopo i due tragici abissi della Rivoluzione culturale ideata da Mao ed il massacro di Piazza Tienanmen del 1989. La strada intrapresa dalla Cina nell’ultimo trentennio, da paese arretrato e isolato a superpotenza al centro della scena globale, dà le vertigini. Un percorso controverso, a tratti non edificante, che da Deng Xiaoping a Xi Jinping ha sollevato dalla miseria un miliardo di persone in un incredibile mix di occidentalizzazione (economica, tecnologica, scientifica, consumistica) e rigido attaccamento all’identità propagandistica e censoria del Partito.
“I cantieri della storia” è un’efficace raccolta di ritratti di leader politici, storie collettive, progetti condivisi, personaggi dimenticati, energiche e commoventi reazioni dei popoli di fronte alle sciagure affrontate. Un concentrato di memorie, letture e speranze che confidiamo possa essere di buon auspicio per le sfide future che attendono l’Italia, l’Europa e il mondo intero.
Indicazioni utili
Commenti
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |
Ordina
|
Per gli appassionati di geopolitica internazionale, economia e storia, Rampini è sicuramente un autore molto valido.
Apprezzo inoltre la vasta bibliografia che il giornalista condivide in ogni sua opera, vera e propria miniera da cui attingere per le future letture.
Sono tutti libri estremamente interessanti. Il livello medio delle pubblicazioni di Rampini è molto buono.
Alcuni, come hai giustamente sottolineato, si concentrano su una singola realtà privilegiando un certo grado di approfondimento. Altri, tra i quali "I cantieri della storia", favoriscono un approccio più rapido, scorrevole, analizzando vari contesti.
In un momento storico in cui il giornalismo italiano non vive la sua migliore epoca, per usare un eufemismo, Rampini è sicuramente una voce dotata di grande esperienza e rara visione internazionale.
6 risultati - visualizzati 1 - 6 |