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55 GIORNI
“Nel farsi di ogni avvenimento che poi grandemente si configura, c’è un concorso di minuti avvenimenti, tanto minuti da essere a volte impercettibili, che in un moto di attrazione e di aggregazione corrono verso un centro oscuro, verso un vuoto campo magnetico in cui prendono forma: e sono, insieme, il grande avvenimento appunto.”
Che il sequestro del presidente della DC Aldo Moro e il suo successivo assassinio ad opera delle Brigate Rosse – insieme il “grande avvenimento” – costituiscano psicologicamente uno choc per il Paese (politicamente uno spartiacque tra le vicende precedenti e quelle successive), è testimoniato da diversi elementi.
Uno, tra questi, è il fatto che Leonardo Sciascia senta il bisogno di pubblicare un’analisi sulla vicenda neanche quattro mesi dopo la sua tragica conclusione (a caldo, dunque; scegliendo volutamente di non riflettere sui fatti, e cercarvi riscontri, più di quanto sia sufficiente): “L’affaire Moro” è pubblicato nell’agosto 1978, e costituisce un’acutissima analisi di quanto accaduto, e principalmente delle lettere che ad Aldo Moro, prigioniero nel covo delle BR, è stato permesso di trasmettere all’esterno.
Tramite l’uomo Moro, il suo stile, il suo linguaggio, le parole usate e (quasi più) quelle non usate, Sciascia ricava un lucido quadro di quanto è andato dipanandosi quell’anno: improvvisa fermezza (che poco si confà alla “elasticità” italica), rediviva statolatria da parte dei politici, e, nel contempo, inefficiente conduzione delle indagini da parte delle Forze dell’ordine (forze maiuscole per un ordine minuscolo) e degli investigatori.
Lo scrittore siciliano è d’accordo con Moro su un punto in particolare, molto delicato: con la strategia della fermezza lo Stato italiano – in fermo contrasto con la maggiore conquista della Costituzione Italiana – ha reintrodotto la pena di morte. Moro, difatti, morirà; e sarà dalla famiglia celebrato con esequie private, per sua volontà in assenza di politici; e sarà ricordato in pubblica cerimonia da quel gruppone fatto dagli Andreotti, dai Taviani, dai Fanfani, dai Cossiga, dagli Zaccagnini, etc., etc., etc. etc., che poco e nulla hanno mosso di sostanziale nel corso della vicenda.
Al resoconto dell’avvenimento che ha cambiato la percezione dello Stato e della politica italiana, l’edizione Adelphi dell’opera di Sciascia aggiunge la relazione di minoranza del 1982, licenziata dallo stesso scrittore (all’epoca membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro).
L’impressione finale non è soltanto che Moro fosse un obiettivo reale e che sapesse molto sulla vita italiana, ma, del pari, il fatto che non abbia mai visto nelle Brigate Rosse un reale interlocutore per le cose che pure avrebbe potuto raccontare del sistema politico in quel momento imperante (di quel sistema e di quella DC che gli sopravviveranno per altri quindici anni soltanto, morendo nei tentativi di spiegazione posticcia di un Arnaldo Forlani in irrimediabile difficoltà davanti ai p.m. del pool milanese di “Mani Pulite”).
“Nulla è più difficile da capire, più indecifrabile, dell’ironia. E se si può impiccare un uomo muovendogli come accusa una sola sua frase avulsa da un contesto, a maggior ragione, più facilmente, lo si può impiccare muovendogli contro una sua frase ironica.”
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Grazie mille.
Credo proprio tu abbia colto nel segno, Manuela (come anche Laura): Sciascia ha sentito l'esigenza di scrivere subito su questa tragedia, mancando di elementi e conoscenze sulle Brigate Rosse che sono state acquisite molto dopo. In questo modo, con il suo consueto acume, si è basato sull'unica fonte certa che aveva per decrittare parte degli avvenimenti: le lettere dello stesso Moro, miniera di informazioni per comprendere il periodo storico ma anche per le indicazioni "nascoste" che contengono o, addirittura, per quelle che non contengono affatto.
A Daniele: il sequestro e la morte di Moro sono un crocevia della storia politica e sociale del nostro Paese. L'unica "cautela" che adopererei, se intendi leggere il libro, è di procurarti notizie sulla situazione politica del Paese nel trentennio che va dal Dopoguerra all'avvenimento in discorso. Pur non dichiarandoti appassionato di storia, credo che la cosa sia necessaria per cogliere molte delle sfaccettature del ragionamento di Sciascia, che in alcuni punti - come proprio di questo scrittore - si fa estremamente sottile. In ogni caso, è una lettura istruttiva per diversi motivi.
Grande stima di Sciascia sia come scrittore che come uomo. Però ho evitato questo libro perché m'era parso 'schiacciato' sull'attualità. In letteratura questo non suscita il mio interesse. Già c'è la cronaca, la saggistica...
Dalla letteratura richiedo altro. Una scelta personale, ovviamente.
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