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Tangentopoli
“Lettera a un figlio su Mani Pulite” è un saggio sotto forma di racconto a qualcuno che non ha vissuto quel periodo, di quella parentesi storica che decretò la fine della politica così come la si conosceva fino ad allora. Iniziò tutto nel 1992 con l’arresto di Mario Chiesa e da quell’evento in poi un vero e proprio terremoto scosse la nostra società. Questo terremoto mise sotto i riflettori per la prima volta la magistratura italiana con la spettacolarizzazione dei processi (nacque “Un giorno in pretura”) e con la personalizzazione delle inchieste (il pool investigativo e Antonio di Pietro) ma mostrò anche all’opinione pubblica il sistema corrotto della politica, la corruzione di tutti gli strati della società comprese anche istituzioni come la Guardia di Finanza o la magistratura stessa. Mentre la prima parte del libro racconta i fatti e il clima di quegli anni, nella seconda ci sono le riflessioni personali su ciò che è accaduto e sulle sue implicazioni.
Naturalmente il punto di vista espresso nel libro è quello di un magistrato che fece parte di quel famoso pool, Gherardo Colombo, ed è proprio lui che arriva ad una conclusione: nonostante il lavoro svolto in quel periodo la corruzione così come la concussione sono ben lungi dall’essere sparite dalla nostra società a qualsiasi livello. Una frase emblematica “…in questo Paese abbiamo un duplice ordine di regole. Non è vero che gli italiani non osservano le regole in generale. Osservano altre regole.” Ma perché hanno vinto le regole di Tangentopoli? La riflessione che Colombo fa è che “non è attraverso un processo penale che si può risolvere un problema endemico come la corruzione in Italia…Il campo nel quale intervenire è quello dell’educazione più che quello giudiziario” e quindi vale la regola della prevenzione, del creare anticorpi contro questa piaga. L’inchiesta della magistratura serve a svelare il sistema corruttivo, a punirlo a cose fatte, ma a monte ci deve essere prevenzione e conoscenza ed è per questo che Colombo sta impiegando gli anni del suo pensionamento a girare l’Italia per incontrare gli studenti delle suole superiori.
Un’ultima riflessione: gli anni di Tangentopoli sono stati forse l’ultimo atto di partecipazione alla vita pubblica di tutti, prima del ripiegamento su noi stessi. Tutti si scendeva in piazza, ci si indignava, si chiedeva giustizia, si seguivano i processi, ci si interessava alla politica in prima persona, alla Res Publica nel senso latino della parola.
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