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Le relazioni letali
“Storia dell’Italia mafiosa” è un libro che parte da un interrogativo dirompente: si può davvero raccontare la storia politica italiana senza riferirsi alla storia delle mafie? Certo, sinora è stato così (anche per uno come Benedetto Croce). Il problema è se sia corretto.
Siamo abituati a volumi storici o cronachistici che, inquadrando il fenomeno mafioso dall’Unità d’Italia ad oggi, lo raccontano in disparte da ogni altro contesto: sanguinarie guerre di camorra, il feroce periodo corleonese, vicende di ‘ndrangheta più o meno recenti (la strage di Duisburg, l’omicidio Fortugno, etc.). Quando va bene. Altrimenti a raccontare la mafia sono serie tv e sceneggiati che propongono una storia spettacolarizzata di personaggi e contesti, spesso irrealistici, e che comunque non si pongono il problema di indagare sul nucleo del fenomeno mafioso (anche perché non è il loro obiettivo).
Ciò che ci rende assuefatti, tra l’altro, ad identificare la violenza quale unico peculiare connotato delle mafie.
Il sociologo napoletano Isaia Sales racconta qualcosa di molto diverso: “La storia delle mafie meridionali non è storia di semplici organizzazioni criminali, bensì storia dei rapporti che l’insieme della società (locale e nazionale) ha stabilito, nel tempo, con questi fenomeni criminali e viceversa, è storia di rapporti con il mondo esterno alla stessa criminalità. Senza queste relazioni, senza questi rapporti le mafie non sarebbero tali, non sarebbero durate tanto a lungo, non peserebbero come un macigno sul passato, sul presente e sul futuro dell’intera nazione.”
Uno scontro in campo aperto tra due forze schierate, quella dello Stato e quella delle mafie, si concluderebbe in pochissimo tempo e senza alcuna speranza per i mafiosi. Ma essi non hanno alcuna intenzione di attaccare frontalmente lo Stato, e quando ciò è successo (con Totò Riina), hanno ottenuto una clamorosa disfatta e un ridimensionamento dell’intera criminalità siciliana, costretta a ripiegare dietro le quinte (con Matteo Messina Denaro) per non estinguersi.
Sales sa che la violenza è stata una caratteristica di molti fenomeni storici passati e recenti che si contrapponevano allo Stato: brigantaggio o terrorismo, ad esempio. Ma questi fenomeni sono stati debellati. Le mafie nazionali no: sopravvivono da due secoli (un’età che contendono soltanto alla Triade e alla Yakuza, mafie asiatiche).
E’ vero che l’uso della violenza e la capacità d’intimidazione sono una caratteristica fondante delle mafie. Non sono, però, la chiave del loro successo: lo sono, invece, le relazioni. Ciò che ha portato la ‘ndrangheta, in particolare, a non essere più soltanto un problema del Sud Italia, ma un potere condizionante anche al Nord, e fuori paese: imprenditori interessati a risparmiare sui costi d’impresa, politici disponibili a raccattare voti, funzionari pubblici pronti ad essere corrotti… e tutti disposti, nella migliore delle ipotesi, a chiudere uno o entrambi gli occhi, quando non a collaborare o a colludere.
Gli storici non accettano “il ruolo politico delle mafie, perché per essi la politica è solo portatrice di valori. Non accettano che la violenza privata sia stata un mezzo di regolazione di contrasti sociali e politici. Non accettano che degli assassini abbiano potuto condizionare la vita della nazione stando dietro le quinte e non sulla scena della storia”.
Se si vuole capire realmente da dove arrivi la mafia – e in cosa risieda oggi il suo reale potere – conviene accantonare ogni altro libro per un momento, e leggere la “Storia dell’Italia mafiosa” di Isaia Sales.