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Recensione di Angela Arsena
Questo saggio, piacevolissimo e lontano da ogni presunzione intellettuale, sembra scritto da un giurista romano o da un oratore greco, da Cicerone e Demostene, ad esempio, passando per Catone, il Catone profetico delle Orationes, per la correttezza e la puntualità dei rimandi al mondo giuridico, per la concretezza del discorso, per la capacità di svolgere dialetticamente una tesi, dimostrarla con i fatti, argomentarla e concluderla. E la tesi, nella fattispecie, è che una nuova malattia ha contagiato l'Italia, ovvero il dirittismo, l'eccesso di diritti che, come tutti gli eccessi, e seguendo proprio la saggezza classica del in medio stat virtus, produce inevitabilmente l'anarchia e il disfacimento stesso dei diritti. Lo diceva, in qualche modo, anche Karl Popper, quando affermava, da vecchio e autentico liberale quale era, che la società aperta è aperta a tutti, tranne agli intolleranti, perché la società deve essere aperta ma non spalancata. Un eccesso di democrazia potrebbe provocare la crisi della democrazia, proprio perché la democrazia è organismo vivente (e dunque fragile e preziosissimo) e, pertanto, se intossicato da continue iniezioni di ormoni e stimolanti, potrebbe collassare: Aldo Moro, a proposito del diritto in uso nelle comunità democratiche, non diceva diritto vigente, alla maniera dei giuristi, bensì diritto vivente, alla maniera dei biologi. E quali sono gli estrogeni che stanno danneggiando l'Italia democratica? Alessandro Barbano lo scrive chiaramente, enumerandoli: la crisi o il deficit della delega, per il pericoloso cortocircuito della rappresentanza che provoca nel momento in cui i pochi si fanno (o dovrebbero farsi) portavoce e depositari degli interessi dei molti in senso innanzi tutto morale (quella legge morale che per Kant sta dentro di me, prima che altrove, prima che nei diktat di partito), e poi la crisi del sapere che provoca "lo sfarinamento della cultura civile". E poi le nuove "utopie valutative, orizzontali" e "impersonali", che compromettono irrimediabilmente ogni rapporto formativo ed educativo: il mito e il monolito della valutazione (totem asimmetrico, al contrario di quello di Kubrick in Odissea nello Spazio: sono sempre le stesse categorie di lavoratori a dover sottostare alla dittatura valutativa, mentre altre ne sono esenti...) è diventato una sorta di Minotauro che fagocita gli individui, un elemento della pericolosa mitologia che sta ipnotizzando l'Italia, come il pifferaio magico ipnotizzava i topolini. Belle, dense pagine, da leggere magari avendo a portata di mano una matita per sottolineare alcuni punti. Un domani, se dovessimo malauguratamente rientrare nella Caverna di Platone, ovvero nella Caverna dell'ignoranza e della schiavitù, potrebbero ritornare utili, se non altro per dire: lo aveva detto.
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