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Quarto potere
Con il consueto garbo ed equilibrio e con l’onestà intellettuale dimostrata in tanti anni di conduzione di prestigiose testate giornalistiche (Corriere della Sera e Sole 24 Ore) Ferruccio de Bortoli racconta oltre quarant’anni di professione e di frequentazione della classe dirigente del Paese. Poteri "quasi" forti perché secondo De Bortoli in Italia di veri poteri forti non ce ne sono, magari ci fossero: in realtà il potere politico ed economico da decenni è condizionato dalle scorribande dei "raiders" del momento e da qualche residuo di oligarchia arroccato a difesa della propria sopravvivenza.
Non ci sono clamorose rivelazioni o sorprese (al contrario di quanto annunciato nel risvolto di copertina): le tre righe dedicate quasi incidentalmente all’interessamento di Maria Elena Boschi per una possibile cessione di Banca Etruria, con le quali il libro si fece pubblicità al momento del suo lancio, sono forse la punta massima di corrosività di tutte le trecento pagine del volume.
L’intento dunque non è quello di togliersi sassolini dalle scarpe, ma piuttosto di rivendicare con orgoglio le proprie scelte di indipendenza, di riconoscere i propri errori e di esprimere gratitudine a maestri, colleghi e collaboratori che sono stati a fianco dell’autore in tutti questi anni.
Le pagine con le quali mi sono trovato maggiormente in sintonia sono quelle dedicate all’importanza, ancora oggi, di un giornalismo di qualità, capace di analizzare i fatti, documentarsi, cercare le prove e dubitare sempre. Quanto più sui social network e su tutto il web pullulano informazioni e dati di qualsiasi tipo, senza filtri e controlli (garanzia di libertà) tanto più abbiamo bisogno della professionalità (accuracy and fairness) di chi ci può orientare in questa giungla di informazioni vere o fake news, dati scientifici o manipolati, fatti storici o leggende metropolitane.
A proposito delle specificità che caratterizzano il vasto mondo editoriale, ho trovato interessante questa riflessione: “ L’illusione che ha condannato gli editori al fallimento nella diversificazione televisiva è spiegata con una semplice legge di mercato. Mai credere che una migliore tecnologia nella diffusione dei contenuti rappresenti la naturale evoluzione del proprio business. Non è l’estensione del giardino di casa. E’ un altro mondo. Qualcosa di analogo sta avvenendo oggi con l’informazione digitale. Gli errori si ripetono.”
Più che i fatti, i retroscena e le (tante) cene e colazioni, emergono dalle pagine le persone: non solo i tanti potenti, ma anche i giornalisti, gli intellettuali e i protagonisti dei fatti di cronaca incontrati nel corso di tanti anni. E, se una linea di demarcazione abbastanza netta si intravede nella narrazione, non è tanto tra chi ha avuto ragione o torto, tra chi era da una parte o dall’altra della barricata, tra chi è stato più amico o nemico del Direttore, ma piuttosto tra chi ha avuto stile e chi non l’ha avuto. Ci si può dividere sulle opinioni, sulle scelte e sulle decisioni, sembra volerci dire Ferruccio de Bortoli, ma non sui valori di base della società, sull’educazione, sul senso civico e di responsabilità.
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