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Un omicidio incompleto a Torino
Paola Bellone, vice procuratore onorario a Torino, scrive Tutti i nemici del Procuratore. L’omicidio di Bruno Caccia, Laterza. A Torino il 26 giugno 1983 in via Sommacampagna, breve lembo d’asfalto che dalle prime pendenze della precollina torinese si affaccia sul Po tra i due ponti più centrali della città, a tarda sera viene ucciso il procuratore Bruno Caccia. Un omicidio che lascia sgomenti: Torino, tra il 1976 e il 1982 ha assistito a 17 omicidi e a oltre 50 “gambizzazioni”, e con quest’ultimo si teme un ritorno nell’incubo del terrorismo. Ma chi era Bruno Caccia? E’ stato il pubblico ministero del rinvio a giudizio nei confronti del nucleo storico delle Brigate Rosse (vedi processi a Fabrizio Peci, Renato Curcio ed affini), il primo atto di opposizione di uno Stato democratico al terrorismo rosso che avrà un alto prezzo di sangue da pagare, sia in Italia che nella stessa Torino. Ora, dopo tanti anni, perché questo libro? Che cosa significa? Una fortuita coincidenza segna l’uscita di questo testo e ne attualizza l’argomento, altrimenti relegato ad un passato che non è più. E’ un testo che inizia dalla fine: il 22 dicembre 2015 la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano arresta il presunto esecutore materiale dell’omicidio, Rocco Schirripa, panettiere. L’uccisione è dunque rubricata come omicidio di mafia, il primo che attesta l’infiltrazione della ‘ndrangheta al Nord. Quindi prima i terroristi rossi, poi la ‘ndrangheta. Il libro della Bellone elabora però altre ipotesi. Innanzitutto raccoglie una marea di documenti che non sono mai entrati in un’aula di giustizia: e sono le testimonianze dei magistrati e degli amici torinesi, dei familiari del Procuratore. Vengono, così, pian piano, elaborandosi altre piste alternative. Sullo sfondo, soprattutto, ci sono i veleni e le pesanti ambiguità di un mondo legale dei magistrati spaccato in due nette correnti: tra quelli che appoggiano il procuratore-uomo di Legge, con una visione della propria professione precisa, integerrima, quasi “sentita come un sacerdozio”, e quelli che lo subivano come un pesante ostacolo. Quindi “nemici interni di Bruno Caccia complici di criminali. (…) Si ricorda con amarezza alcuni anni di malcostume giudiziario dopo la sua morte, in cui ci fu un forte tentativo di bloccare lo sviluppo di certi processi per evitare il vaglio dibattimentale.”Dunque il Procuratore fu ucciso perché “ostacolava colleghi disponibili”, magistrati inquinati. “Un magistrato inquinato è una contraddizione di termini. Non espellerlo comporta non solo il rischio del “chi l’ha fatto una volta può rifarlo”, ma innesca un circolo vizioso: perdonato lui, si perdonerà anche il collega pigro e magari anche quello incompetente.”
Un libro interessante, pregnante, preciso nella ricostruzione dei fatti; ma è anche un testo scomodo, che forse a molti non piacerà. Non dibatte solo sulla magistratura deviata, ma compie una precisa accusa: nessuno all’epoca provò a far luce sugli intrecci sporchi delle inchieste di Caccia: sui retroscena delle Tangenti Story al Comune di Torino, sullo scandalo petroli che coinvolse uomini di Andreotti, sul riciclaggio al Casinò di Saint-Vincent. Ecco perché, forse “un boss calabrese dalla bocca cucita è il migliore fra i colpevoli”. Un mosaico complesso, non del tutto completo. Anche dopo trent’anni.