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ZeroZeroZero
 
ZeroZeroZero 2015-06-17 17:02:25 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    17 Giugno, 2015
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Buono come il pane

Buono come il pane, si dice.
E con questo modo di dire, s’intendono varie cose.
Per esempio, si può definire così uno stile di vita improntato a valori semplici e solidi a un tempo, antichi come l’uomo ma sempre validi e attuali.
Studiare, crescere, cercarsi “…una bona fatiga” (così si esprime un boss mafioso all’inizio nel libro), lavorare, trovarsi un partner e mettere su casa e famiglia, crescere figli nel solco di una buona educazione, di una sana tradizione, insomma, vivere una vita dignitosa, normale, onesta, chiara, trasparente, godendo dei piaceri leciti, affrontando con pazienza e forza d’animo le difficoltà inevitabili dell’esistenza, ma sempre con rettitudine, sempre perseguendo uno stile buono…buono come il pane, appunto.
E come si fa il buon pane casareccio? Quello il cui profumo inebria, quello che rammenta l’infanzia, quello che sa d’impasto lavorato a mano e di forno a legna?
Ma con la farina doppio zero, naturalmente.
Sennonché, l’epoca moderna ha perso gran parte dei valori di un tempo, sostituiti da altri, assai meno nobili. Alla fatica, all’impegno, al conquistarsi il pane quotidiano si è sostituita la smania del tutto e subito, dell’arricchimento sfrenato, ottenuto con mezzi illeciti, senza guardare in faccia niente e nessuno, senza alcun rispetto per nulla e meno che mai per la vita umana, l’amore, la dignità, l’onestà sono stati sostituiti dal potere, dal sesso, dal dominio cieco violento ed assoluto, dal disporre liberamente ed impunemente con la forza e la violenza delle vite altrui, trascurabili e trascurate in nome della ricchezza smisurata, immensa, lorda di sangue innocente, ma non per questo meno ambita, conquistata a prezzo di guerre sanguinose, autentiche guerre con tanto di impiego di militari e di mezzi di sterminio di massa.
Quale può essere allora il simbolo costitutivo di questo nuovo modo di essere, assai più allettante del povero pezzo di buon pane fatto con farina doppio zero?
Naturalmente, visto che gli si dà un valore maggiore, avrà uno zero in più: zero zero zero.
“Zero zero zero” è il nuovo libro di Roberto Saviano, e con questo termine si intende il grado di purezza medio della cocaina da spaccio.
Perché il libro di Saviano è questo, è insieme un saggio, un romanzo e un’inchiesta sulla cocaina. Perché la cocaina è il nuovo “status symbol” della nostra epoca moderna. Un’epoca nella quale, per assurdo, sempre più persone smettono di fumare, consapevoli dei rischi e dei pericoli del tabagismo, riscoprono la cura del proprio fisico, affollano palestre e le sale d’attesa dei chirurgi plastici, si votano ad alimentazione vegetariana ed a più sani stili di vita…e consumano cocaina.
La cocaina non ti rende uno zombi, come l’eroina, non ti fuma il cervello come la marijuana o l’ectasy, semplicemente la cocaina fa in modo che…fai di più, sei di più. Fai più l’amore, lavori di più, ti stressi di più, vedi di più, senti di più, pensi di più, farnetichi di più…e poiché il tuo corpo ha un limite, viene il momento che non ne può più, e si rifiuta di fare qualsiasi altra cosa che non sia assumere cocaina in dosi sempre maggiori ma senza più gli effetti travolgenti dei primi tempi, rendendoti nevrotico, paranoico, esaurito, un povero demente esausto e perennemente fuori di testa. Di cocaina non si muore subito, si impazzisce prima e bastano poche dosi per renderti dipendente irreversibilmente, senza che neanche te ne accorgi.
Già nella fantastica introduzione, Saviano indica chiaramente che tutti, ma davvero tutti, dal politico importante all’operaio in fabbrica, dal manager in carriera all’impiegato, dallo sportivo all’artigiano, e se proprio non tutti tantissimi, soprattutto insospettabili, consumano cocaina.
La cocaina è la droga universale, i cui effetti sono rapidi, immediati, così come la dipendenza assoluta, e l’assunzione manifesta può anche essere celata pur protratta nel tempo, è una droga diciamo così invisibile, ma non per questo meno dannosa, anzi, è mortale, ma prima ancora ti brucia il cervello, te lo fonde, ti fa impazzire. Ma provoca dipendenza talmente rapida e potente: ed è per questo che il mercato della cocaina è un mercato a crescita esponenziale, il consumo di cocaina aumenta inesorabilmente con il passare del tempo. E di conseguenza, aumenta la produzione.
Il mercato della cocaina, il “business” della cocaina, è quanto di più lucroso si possa immaginare.
Non esiste mercato, non esistono azioni o prodotti che possano offrire il reddito che invece garantisce il mercato della cocaina: investendo mille euro in cocaina all’origine, prodotta per pochi centesimi dai contadini delle aree dell’America Latina tra le più povere del pianeta, si può acquistare un chilo di cocaina purissima. Questa, una volta contrabbandata negli Usa e in Europa, viene tagliata ed edulcorata trasformandola in circa 3 chili di cocaina, pronta per lo spaccio al minuto. Un grammo di cocaina, una minima dose media giornaliera costa in genere 70 euro, cifra accessibile ai più, con tre chili quindi si ricavano 210.000 euro; in pratica, tolte le spese di filiera e il rischio d’impresa, l’investimento iniziale di 1000 euro non rende mai meno di 100.000 euro: niente rende altrettanto, e altrettanto in fretta. E reinvestendo i ricavi, ecco che si accumulano in fretta ingenti capitali, reinvestiti stavolta a scopo di riciclaggio in attività lecite: interi centri commerciali, immobili, fabbriche, concessionarie, industrie, banche, azioni, giornali, finanziarie, e si creano di conseguenza posti di lavoro, si gestiscono persone, si indirizzano preferenze politiche, si crea un cartello, un sistema, una mafia, una oligarchia criminale in perenne e crudele guerra tra i suoi componenti per l’egemonia del cartello mondiale, data la posta in palio, ingentissima; ma di chiunque sia il predominio, comunque l’oligarchia è virale, dannosa, nefasta, diabolica, influenza pesantemente e negativamente l’esistenza di tutto il genere umano.
Ecco di cosa parla “Zero zero zero”, un libro crudo ma reale, tenero e violento, fantastico ed allucinante, e lo fa in forma di saggio e di reportage insieme, magari romanzato ma non romanzesco, descrive con tanto di nomi, cognomi, soprannomi e curricula una realtà vera, una cronaca veritiera, verificabile, affabulatoria, affascinante: Saviano sa scrivere benissimo, e sa, conosce bene, di cosa sta scrivendo. Magari è un libro tosto, “pesante”, ricco, troppo ricco di fatti, nomi vicende accadute lontano. Ma sono descrizioni necessarie, molto accurate proprio perché sono reali. Si capisce subito che dietro c’è un certosino lavoro di ricerca, c’è stata un’intensa fase preparatoria d’indagine, d’incontri, di riscontri, ma poi l’autore declama quanto appreso in modo incantevole, per niente saccente o didascalico, ma nella forma scorrevole del racconto.
E svolge un’opera meritoria, altamente meritoria, così come fece in precedenza con “Gomorra”.
In quel libro Saviano parlava essenzialmente di Napoli: e ne parlava con amore, rispetto ed indulgenza, non come una Sodoma, ma come una Gomorra, appunto.
Parlava dei suoi luoghi natali, parlava di Napoli, di una città che era stata una capitale europea, e della capitale conserva la magnificenza, ma è purtroppo una capitale senza impero.
Quando non c’è impero, mancano le risorse; senza risorse, abbondano i lazzari, è comune questo a tutte le metropoli senza reddito perché depredate dalle sue risorse da generazioni di classi dirigenti e da politici inetti, corrotti, disonesti, delinquenti.
Sono lazzari particolari, i napoletani, certamente Lazzaro in senso lato lo è la stragrande maggioranza dei napoletani: sono lazzari ingegnosi, fantasiosi, tutti tesi nello sforzo di abbattere il luogo, assai comune ed ingiusto, del napoletano poco incline alla fatica. Niente di più falso: il napoletano, dove il lavoro non c’è, se lo inventa. Solo che anche alla fantasia c’è limite.
E dove non c’è impero, non c’è nemmeno ordine e quindi autorità costituita. Quando lo stato latita, inevitabilmente il suo posto è preso da un altro stato, uno stato dittatoriale, antidemocratico, ingiusto, che utilizza metodi di coercizione violenta, ed è retto, utilizzando la paura, dalla specie peggiore di lazzari, lazzari questa volta diversi, assai diversi, questi sì, brutti, sporchi, cattivi, lazzari pericolosi, delinquenti, animali selvaggi, individui che hanno costruito il loro personaggio frequentando posti particolari, le patrie galere.
E cosa si fa in galera, specie se condannati a lunghe detenzioni per reati gravissimi, e quindi sottoposti a regimi carcerari duri come il famoso regime del 41 bis? Si gioca a un gioco antico che si svolge a mani nude: forbice che taglia carta che avvolge il sasso che rompe la forbice…La morra. In carcere duro molte persone sono dedite, viziosamente, a un gioco antico, la morra.
Di qui, l’indicazione di quello che se la fa con gente di malaffare, con i giocatori di morra, con la morra, “cca’morra”, la camorra, la mafia napoletana, ma non solo napoletana.
Ed è questa mafia che ferisce Napoli, la violenta, la uccide, è la camorra che vorrebbe trasformarla in Sodoma, ma la città è bella, resiste, e riesce a mantenersi solo…Gomorra.
Con “Zero zero zero” questa volta Saviano ci parla dell’intero pianeta: stavolta ad essere Gomorra sono gli altipiani colombiani, le grandi metropoli americane, il confine tra Messico ed Usa, l’Africa, l’Europa, il meridione italiano, tutti pervasi dall’inferno bianco della cocaina.
Roberto Saviano scrive bene, ed ha il coraggio di scriverlo. Si dice che scrive di cose che tutti sanno, che tutti conoscono: scrive di camorra e di cocaina.
Certamente, sono cose che tutti noi sappiamo, ma Saviano le scrive, le descrive, le comprova, le sottolinea, le ricorda, le ribadisce; e non è da tutti farlo, perché occorre considerare i rischi, la paura, il “…chi te lo fa fare” che ti suggeriscono tutti. Saviano ha paura, come tutti ha paura, ma diversamente da altri le scrive, ha il coraggio di aver paura, e le scrive.
Le scrive personalmente, le sue storie, esponendosi in prima persona.
E per questo rischia di persona, vive blindato, scortato, sacrificato, ma scrive.
Ha paura ma scrive, perché Roberto Saviano è un uomo buono.
Buono come il pane.

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Ciao, Bruno. Il tuo interessante commento ci fa molto riflettere sui nuovi conformismi e sull'impazzimento, pare collettivo, di una società che s'incatena con le proprie mani.
In risposta ad un precedente commento
Bruno Izzo
19 Giugno, 2015
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Ti ringrazio per il gradimento. E purtroppo devo confermarti che davvero la nostra è una società da delirio, e ciò mi sconcerta; ma io ho un'età, 59 anni, per cui posso ancora cavarmela. Ma mi terrorizza il futuro dei miei figli, dei nostri giovani. E mi rifugio a leggere...e a scrivere di ciò che ho letto. Ciao a te!
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