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Geografia di potere e polvere
“Zero zero zero” è uno scritto diverso dai precedenti di Roberto Saviano (è un errore, quando si inizia un suo libro, pensare di sapere di cosa si tratti, sulla scorta di quel che di suo si è già letto).
“Zero zero zero” è un atlante.
La pista della cocaina non è tanto quei pochi centimetri di polvere bianca che una parte enorme ed eterogenea della popolazione mondiale sniffa da un tavolino di cristallo, dal piano di un bagno pubblico, dal dorso della mano, da una cartina rigida abbastanza. La pista della cocaina è un percorso attraverso il mondo che porta (come sempre) a danaro e potere...
Un percorso lungo da fare impressione: Europa (dove prevalentemente si concentrano consumatori, o raffinatori), Africa, Asia (meno coinvolta in questioni di cocaina rispetto ad altre droghe), Nordamerica e, soprattutto, Centro e Sudamerica (l'origine del problema).
Saviano è in grado di spiegare il motivo per cui tutti questi continenti sono coinvolti, e perché in maniera diversa; è in grado di spiegare perché il regno dalla cocaina è stato per tanto tempo la Colombia (sotto il dominio di Pablo Escobar e del cartello di Medellin) e oggi, invece, è il Messico (di personaggi come “El Chapo” Guzman).
Ma il percorso geografico del libro è in realtà un percorso umano, tale da far venire in mente una frase di Saramago: “Il mondo non ha altri problemi che quelli delle persone”.
E non si tratta tanto di problemi di dipendenza dalla cocaina (una dipendenza che, a differenza di quella dall'eroina, è prevalentemente mentale – essendo tale droga utilizzata per migliorare le proprie prestazioni, in tutti i sensi che quest'ultimo vocabolo può assumere), o delle agghiaccianti storie di omicidi, stragi e torture attraverso cui si cerca di ottenere il controllo di questo mercato.
Il vero problema, centrato da Saviano, è quanto capi, gregari e fiancheggiatori delle gang criminali che operano in questo panorama siano disposti a votare la propria vita al male, quanta forza di volontà riescano a sprigionare nello schiacciare i nemici e nel disprezzare la gente che consuma la “loro” droga (non è un caso se molti di loro ne proibiscono tassativamente il consumo ai membri delle gang che capeggiano). Il vero problema, alla fine, è il livello di rinuncia di questi uomini ad ogni senso di umanità. E' difficile persino credere che questa gente esista davvero (così come lo è stato, nel 1945, credere che i nazisti fossero arrivati a certi abissi). Ma lo scrittore napoletano la descrive, e tocca ammettere che questa gente vive qui, oggi, nello stesso mondo in cui noi viviamo.
Roberto Saviano ha uno stile di scrittura coinvolgente e veloce (anche quando i suoi libri toccano le 400 pagine), difficilmente superabile in relazione agli argomenti che tratta.
Ma la vera grandezza di questo ragazzo è la sua capacità d'analisi (capacità che mantiene inalterata nei programmi televisivi rispetto alla pagina scritta): in qualità di “figlio” di territori ad alta densità camorristica, ha perfezionato – suo malgrado – un'enorme capacità di leggere i fenomeni delinquenziali (spettacolare il suo modo di decifrare segni e comportamenti della criminalità organizzata per poi divulgarne al pubblico i sottostanti messaggi).
In “Zero zero zero” lo scrittore napoletano si è documentato – scavando anche tra fonti inaccessibili al comune giornalista o documentarista – sino a costruire, come detto, un atlante del fenomeno “cocaina” e delle desolazione umana che lo delimita (a costo di annoiare chi non sia disposto a “girare con la mente” tra le diverse latitudini geografiche ove il problema si presenta).
Di fronte a un tale lavoro – che forse non può avere la pretesa di essere “definitivo”, ma comunque si propone come approccio irrinunciabile all'argomento – due sono state le critiche, in realtà collegate tra loro: la mancata indicazione delle fonti utilizzate dallo scrittore e l'accusa di aver attinto a scritti di giornalisti e corrispondenti di altre nazioni. Per la prima va ripetuto come alcune fonti non siano pubbliche (né integralmente pubblicabili); per la seconda, ammettendo che sia vera, è lecito pensare che un minimo di riconoscimento a tali persone fosse dovuto. Ciò senza nulla togliere alla capacità di Saviano di “assemblare” notizie, e farsi divulgatore di materie che, altrimenti, non sarebbero arrivate a un pubblico così vasto.
Sotto questo aspetto, si ha quasi l'impressione che la “fatwa” dei Casalesi (il clan camorristico casertano ormai definitivamente decapitato dallo Stato) non abbia avuto altro effetto che rendere lo scrittore napoletano più determinato: conscio di non poter più aspirare ad una vita “normale” - fin da quando, intorno ai 28 anni, ha cominciato a subire gli imprevedibili effetti della pubblicazione del best-seller “Gomorra” - Saviano ha mostrato sempre meno scrupoli nell'occuparsi delle diverse manifestazioni delle più pericolose organizzazioni criminali... Con il libro recensito, anche di quelle che hanno “diffusione” internazionale.
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Commenti
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Bella analisi.
Quanti libri interessanti non ho ancora letto!
Ho una vera predilezione per questo ragazzo: non sarà il miglior letterato che ha espresso il nostro paese negli ultimi anni, ma ha qualcosa di unico.
E poi, ciò che veramente mi ha colpito di lui, è la capacità di vedere prima degli altri: ha raccontato dei Casalesi quando costoro facevano miliardi di fatturato con il crimine e nessuno sapeva nulla di loro (oltre i ristretti confini di parte del casertano)... ecco perché questi ultimi lo maledicono; ha parlato delle infiltrazioni di ndrangheta e mafia al Nord quando nessuno ci credeva. Non ho mai dimenticato quando l'ingegnere Roberto Castelli gli rispose in diretta tv "Va a ciapà i rat" ("Vai ad acchiappare i topi"): tempo un anno, ed uscirono fuori persino le riprese filmate dei meeting di ndrangheta in pieno centro di Milano, con una Lega Nord che ha dimostrato di non conoscere nemmeno il "proprio" territorio... poveretti...
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