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Urla a bassa voce
 
Urla a bassa voce 2014-06-19 13:39:38 Carlo Monti
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Carlo Monti Opinione inserita da Carlo Monti    19 Giugno, 2014
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Della giustizia e delle pene

L'articolo 27 della Costituzione Italiana recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Allo stesso tempo, gli articoli 4bis e 41bis della legge sull'ordinamento penitenziario ammettono, in casi di straordinaria gravità, la possibilità di sospendere le normali procedure di detenzione e l'accesso ai benefici della pena connessi all'accertamento dell'effettiva pericolosità sociale del condannato. La contraddizione fra i due principi, quello della costituzione e quello relativo al 4bis e al 41bis, non è forse immediatamente evidente. In fondo, si potrebbe pensare che una sospensione una tantum dei diritti dei carcerati possa essere tollerata alla luce di un più pressante desiderio di "giustizia", specie se si ha a che fare con reati così estremi come quelli di stampo mafioso. Il pugno di ferro talvolta appare necessario e così è parso -e pare tutt'ora all'opinione pubblica- durante il periodo della strage di Capaci ai legislatori dello stato italiano. Non c'è bisogno di esprimersi sulla liceità di una simile applicazione della massima secondo la quale il fine talvolta giustifica i mezzi per affermare che, purtroppo, le cose stanno diversamente. Tali misure "straordinarie", infatti, non hanno mai avuto realmente il carattere temporaneo (tre anni) che il legislatore aveva previsto. Ovvero, il principio una tantum è oramai divenuto, a suon di proroghe, una prassi comune alla quale vengono esposte 1400 persone detenute nelle carceri italiane e soggette al regime di 41bis e/o al cosiddetto "ergastolo ostativo". Si tratta di misure che hanno poco a che vedere con la tanto declamata rieducazione del condannato e che rendono evidente come, per lo meno per quanto riguarda una parte dei detenuti, la funzione della pena nell'ordinamento italiano sia, di fatto, unicamente quella retributiva: dente per dente. Al di là della segregazione fisica e mentale alla quale il 41bis costringe i condannati -che già di per sé basterebbe- vi è poi un più triste aspetto che ci costringe a descrivere tale procedura come una vera e propria tortura: il 4bis e il 41bis vengono applicati a coloro che si rifiutano di essere collaboratori di giustizia. Questo significa che la ragione, se cosi si può chiamare, che guida tale prassi è: o ci dici quello che sai (o, come spesso accade, quello che non sai) e metti un altro in carcere al tuo posto, oppure rimani in carcere a vita senza possibilità di ottenere alcun tipo di permesso.

Urla a bassa voce raccoglie le testimonianze di una quarantina di detenuti condannati al regime di 41bis o all'ergastolo ostativo con lo scopo di dare voce a coloro che ne sono stati privati; e non solo in senso metaforico, dato che ad essi è sostanzialmente impedita la relazione con i famigliari e con altri detenuti. I contributi vengono direttamente dalla penna dei condannati e riportano le loro considerazioni riguardo molti temi: dalle situazioni più concrete come la vita nel penitenziario, il rapporto con i propri cari o le traversie da affrontare per ottenere un permesso, fino alle tematiche di carattere più astratto e riflessivo come la vendetta, il perdono, il significato della pena o, più in generale, della vita stessa. Nonostante le opinioni espresse siano a tratti ripetitive (e come potrebbe essere altrimenti dato che tutti gli autori sono accomunati dalla stessa oppressiva condizione?), la lettura risulta più che mai stimolante, soprattutto alla luce delle domande che sorgono inevitabilmente quando si affrontano simili argomenti e che hanno la capacità di mettere in discussione molte certezze.

Per quanto ci si possa considerare progressisti, infatti, il tema della carcerazione ostativa e del 41bis risulta sempre un po' scomodo perché si scontra con quello, ad esso connesso, della lotta alla mafia e della condanna di reati "terribili" verso i quali la legittima sete di giustizia spesso fa dimenticare l'umanità dei criminali. Del resto, è difficile scollarsi di dosso la tendenza a vedere nel condannato il colpevole invece dell'uomo, anche se quest'uomo ha trascorso più di vent'anni chiuso in una stanza. E’ proprio questa diffidenza continua ciò che logora i detenuti e che si esprime nell'impossibilità legislativa a prendere in considerazione l'effettivo processo di cambiamento che la loro coscienza ha subito. In effetti, il "fine pena mai" è la negazione esplicita ed assoluta di ogni possibilità di redenzione. E quindi, la domanda che più di tutte si impone alla nostra coscienza è questa: esiste un punto oltre il quale non si può più concedere la possibilità di dimostrare di non essere più la stessa persona che ha commesso un errore? Se poi si volesse rispondere in modo affermativo, vi sarebbe un altro e più scottante dilemma, relativo questa volta alle caratteristiche stesse della pena: se la redenzione è impossibile, perché non ucciderle queste persone? Può sembrare una domanda eccessivamente radicale, eppure la trasformazione dell'ergastolo in pena di morte è stata più volte chiesta dai detenuti al capo dello stato. In effetti, a ben vedere dove sta la differenza? Nel primo caso, infatti, si tratta sempre di essere condannati a morire, solo in modo più lento e straziante. E' così, dunque, che emerge tutta l'ipocrisia di una giustizia, la nostra, che si muove in opposizione ad un altro principio, ribadito sempre dallo stesso articolo 27 della Costituzione, secondo il quale “Non è ammessa la pena di morte”.

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Stiamo parlando di criminali, per lo più mafiosi, che usano i contatti con i familiari per mandare messaggi fuori. Ma a quanto pare possono ancora scrivere ed esprimere la loro opinione, a differenza delle tante persone che hanno mandato all'altro mondo.
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Carlo Monti
20 Giugno, 2014
Ultimo aggiornamento:
20 Giugno, 2014
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Ma Lei crede davvero che una persona che da vent'anni è chiusa in una cella e il cui unico contatto con l'esterno consiste in pochi minuti di colloquio registrato una volta al mese possa davvero avere qualche autorità o essere a capo di qualcosa?
Una recensione appassionata che mi è piaciuta moltissimo. Un commento motivato e approfondito per un tema davvero spinoso. Tutti noi pensiamo che gli autori di crimini così disumani meritino una giusta punizione e il duro e sanguigno commento di Cristina mi sembra, d'istinto, condivisibile. Allo stesso tempo la tua domanda sul senso di una vita vissuta, fino alla fine, in una stanza, fa effettivamente riflettere sull'ipocrisia che si cela dietro al rifiuto della pena di morte della nostra legislazione. Questo libro apre un dibattito su una questione che pone interrogativi profondi di ordine etico, filosofico, religioso a cui è estremamente difficile dare una risposta e le tue riflessioni portano senz'altro ad interrogarsi sul significato generale di "giustizia" in una società che reputiamo evoluta e invece finisce, così, per mettere in atto, in modo forse più raffinato e più terribile, nient'altro che il più atavico desiderio di vendetta. Domitilla.
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Cristina72
21 Giugno, 2014
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Discutere l'operato dei giudici è diventato uno sport nazionale. Comunque le misure estreme di detenzione non durano certo vent'anni e spesso vengono revocate. Quanto all'ergastolo, è inutile negare che il reinserimento in società di certi soggetti anche dopo molti anni di carcere sarebbe altamente pericoloso.
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Carlo Monti
21 Giugno, 2014
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Ok. Ammettiamo che il "il reinserimento in società di certi soggetti anche dopo molti anni di carcere sarebbe altamente pericoloso". Allora perchè non ucciderli? Dico sul serio. Dove sta la differenza? E' sempre interessante ricordare che durante la Rivoluzione Francese e il conseguente periodo del Terrore la pena di morte era ammessa ma l'ergastolo no, in quanto considerato degradante per la dignità umana. Per quanto riguarda la durata delle misure di detenzione, le suggerisco di approfondire la nozione di "ergastolo ostativo".
C.
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Carlo Monti
21 Giugno, 2014
Ultimo aggiornamento:
21 Giugno, 2014
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Grazie Domitilla. Come hai giustamente notato, l'intenzione della recensione è quella di problematizzare la questione della pena e della giustizia, non di fornire certezze. C.
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Cristina72
22 Giugno, 2014
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L'ergastolo ostativo è una pena prevista solo per reati molto gravi, non per vendetta ma per tutela della società civile. Esiste un altro modo per rendere inermi pericolosi criminali, a parte la pena di morte? Temo di no.
Caro Carlo, capisco perfettamente il punto di partenza della tua riflessione.. e solo quello, in verità.
La tua accalorata difesa dei diritti umani mi sembra profondamente contraddittoria in un punto: posto che non sono assolutamente d'accordo con la tua definizione di "collaboratore di giustizia" (che mi sembra evocare in parecchi punti l' "infame" dei canoni mafiosi), mi spieghi come fa una persona a dimostrare di essere altra se non attraverso il completo rinnegare la propria "vita precedente"?
Ti è capitato di studiare la figura di Tommaso Buscetta? E' uno che è riuscito a rinnegare la sua vita precedente senza rinnegare i codici d'onore. Penso che lui - collaboratore di giustizia o meno che lo si voglia qualificare - ha dimostrato di essere un'altra persona (mentre gli venivano ammazzati i parenti, per convincerlo a non parlare, e sostanzialmente non ha mai goduto, fino alla fine della sua vita, di una vera libertà sol perché faceva i nomi di qualcun altro, come tu dici).
Credo, senza alcun intento polemico, che il tuo punto di vista generalizzi delle situazioni che non sono "bianche" o "nere" come vuoi affermare. Che il 41 bis sia poi un regime estremamente spersonalizzante (non a caso detto "carcere duro") non è in discussione.
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Carlo Monti
24 Giugno, 2014
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Cristina, è proprio questo il punto! Tanto vale la pena di morte.
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Carlo Monti
24 Giugno, 2014
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La questione dei collaboratori di giustizia è spinosa perché effettivamente si può obiettare che chi voglia dimostrare un qualche cambiamento debba ripudiare tutto il suo passato. Anche io non sono del tutto convinto di questo ma nonostante sembri una replica convincente, ci sono alcuni punti che meritano un maggior approfondimento. 1- Non sempre i detenuti sono a conoscenza di ciò che il pm gli richiede. 2- Lo scambio proposto (informazioni vs privilegi) è un'arma a doppio taglio. Non a caso l'affidabilità dei pentiti è spesso nulla (basta vedere il caso Tortora, ma non solo). 3- Rinnegare completamente spesso significa rinnegare tutte le amicizie e le parentele del caso. Dato che (fermo restando la responsabilità individuale) l'associazione mafiosa è, almeno per i "piccoli pesci", una questione di costrizione o di necessità sociale, mi sembra che richiedendo un simile rigetto si dimentichi completamente il contesto in cui tali reati vengono compiuti. Che si faccia cioè pagare al singolo il prezzo dell'intero sistema mafioso. 4- Rimane il fatto che, così com'è utilizzato (e come spesso avviene, ed è avvenuto in Mani Pulite, la custodia cautelare) il 41bis abbia il solo scopo di estorcere informazioni. Ovvero: tortura. Ma la giustizia non dovrebbe essere moralmente superiore al male?
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