Dettagli Recensione
Grazie.Di tutto.
Cose di cosa nostra è un’intervista-racconto,raccolta dalla giornalista francese Padovani durante una serie di incontri con Giovanni Falcone.
La prima cosa altamente apprezzabile è come questa giornalista abbia fatto un passo indietro lasciando i riflettori totalmente puntati sul nostro magistrato:non è infatti riportata alcuna domanda ma solo ed esclusivamente le parole di Falcone.
Ho trovato questa scelta di immenso rispetto.
Non mi dilungherò sui fatti narrati,alcuni li conosciamo bene,fin troppo.
Né sulla scrittura,che scrittura non è,ma preziosa testimonianza.
Falcone non si racconta attraverso il suo lavoro,ma racconta il suo lavoro:inchieste,indagini,interrogatori ai pentiti,collaborazioni con le procure di parecchie altre nazioni.
Ma soprattutto parla,anzi,spiega la mafia.
Con l’autorevolezza di chi,perdonate la banalità,contro la mafia ha combattuto e per la mafia è morto.
C’è un passo che riporto,che mi è parso spiegare perfettamente per cosa quest’uomo ha lavorato:
“Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni
magistrato e di ogni poliziotto. Per evitare di rifugiarsi nei facili luoghi comuni, per cui la mafia,
essendo in prima stanza un fenomeno socioeconomico il che è vero ,non può venire efficacemente
repressa senza un radicale mutamento della società, della mentalità, delle condizioni di sviluppo.
Ribadisco, al contrario, che senza la repressione non si ricostituiranno le condizioni per un ordinato
sviluppo. E, lo ripeto, occorre sbarazzarsi una volta per tutte delle equivoche teorie della mafia
figlia del sottosviluppo, quando in realtà essa rappresenta la sintesi di tutte le forme di illecito
sfruttamento delle ricchezze. Non attardiamoci, quindi, con rassegnazione, in attesa di una lontana,
molto lontana crescita culturale, economica e sociale che dovrebbe creare le condizioni per la lotta
contro la mafia. Sarebbe un comodo alibi offerto a coloro che cercano di persuaderci che non ci sia
niente da fare.”
Giovanni Falcone non aveva una vocazione,non era un missionario.
Certo è diventato un eroe…ma questa è un’altra storia.
Era un uomo intelligente e preparato che svolgeva in maniera esemplare il suo lavoro.
Faceva bene quello che aveva scelto di fare:occuparsi nella sua qualità di magistrato di mafia.
E proprio perché conosceva quel fenomeno criminale sapeva perfettamente che combatterlo e vincerlo era possibile.
ERA.So di fare un torto in primo luogo alla sua memoria,ma io non credo che ad oggi sia possibile.Perché uomini come Falcone,Borsellino,Dalla Chiesa io non ne vedo più.
Uomini che sapevano che era solo questione di tempo:anni,giorni o ore li dividevano da morte certa,ma invece di fuggire,di fregarsene di un paese che poco o niente merita,sono rimasti là,ad affannarsi,a lavorare per far si che quel tempo che restava non andasse perso.
Uomini che credevano in un ideale semplice e basilare:la legalità.
Se fossimo in un paese dove ognuno svolgesse correttamente il proprio lavoro,vivremmo in un paese splendido.
Ma in Italia chi fa davvero bene quello che ha scelto di fare è costretto a diventare un eroe.
De Gregori cantava “W l’Italia,l’Italia che lavora”.
Già.
W l’Italia.
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Che tristezza!
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