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De principatibus
Niccolò Machiavelli è uno degli autori italiani più conosciuti all'estero e questo perché la sua attualitò, come hanno detto prima di me gli amici commentatori, è davvero sorprendente.
L'opera detta Il principe è un capolavoro di realismo politico e di visione rinascimentale insieme che hanno effetti anche oggi, nel mondo che ci circonda. Non solo in Italia, nella quale il frantumarsi, il fallire e lo scadere della politica italiana ha dato molto stimolo alla rilettura del principe, ma anche laddove i sistemi politici parrebbero meglio funzionare.
Questo perché?
Perché da sempre si discute se sia meglio un uomo solo al potere piuttosto che una rappresentanza di cittadini eletta dal popolo. Perché da sempre si cerca di capire le ragioni della politica.
Machiavelli è stato il primo a fare della politica una scienza! Questo fatto, pure lodevole, però, si scontra con la spregiudicatezza che tante volte gli è stata attribuita.
Leggendo quelle pagine, i cui capitoli hanno un titolo in latino (a sottolineare l'importanza dell'argomento) ma un testo in volgare (a dire che la politica è per tutti e tutti la devono seguire!), si ha la chiara impressione che se da un lato Machiavelli indica nell'uomo forte la soluzione (perché la divisione degli Stati italiani era anche l'arma di ingresso degli stranieri) ma dall'altro lato indica anche che l'Italia (se ha troppa storia come dirà poi Gramsci) ha buona tradizione politica.
In un capitolo, ad esempio, se analizza le colpe degli Italiani che nel 1494 hanno fatto venire in Italia il re di Francia Carlo VIII, attribuisce a questi la colpa di avere accresciuto il potere dello Stato pontificio in Italia (Stato pontificio responsabile, a detta di Machiavelli) dell'instabilità politica.
Viene così anche a smorzarsi l'entusiasmo troppo edulcorato attorno alla figura del duca di Valentino, Cesare Borgia. In fondo, analizzando la sua parabola (Machiavelli non ama i principati ereditari quanto quelli nuovi, perché quelli nuovi mostrano la grandezza del principe che li ha conquistati!) Cesare Borgia - che dovrebbe essere un esempio da seguire - in realtà è la figura di un vinto, che, tolto l'aiuto dall'alto, è crollato.
Così si viene a profilare un'opera politica complessa, entro la quale Machiavelli si discosta dalla solita trattazione politica dell'epoca in cui il principe ideale era bravo, bello e buono, cioè doveva porsi il fine di un governo morale, di essere giusto, di non contravvenire le regole etico-morali della religione cristiana.
Questa perdita della fede da parte del principe machiavelliano è la peggiore delle pagine del Rinascimento italiano, ma era più l'osservazione di ciò che stava avvenendo che un suggerimento dato dal fiorentino.
In ultimo, analizzo che il Principe in realtà Machiavelli lo ha intitolato De Principatibus (Sui principati), cosa che dice quanto alcune letture poi diventate comuni abbiano stravolto intere opere (Bibbia, Divina Commedia, eccetera), tradendo anche lo spirito dello scrittore. Cosa, a mio giudizio, da non fare.
Vi lascio un verso petrarchesco dalla famosa chiusa del trattato machiavelliano.
Si noterà quanto attuale sia il lirismo dell'aretino e la speranza politica del fiorentino, ancora oggi attuali:
ché l'antico valor
negli italici cuor
non è ancor morto!
La democrazia di oggi è quell'essere tutti principi, partecipi del destino comune. Una grandezza che ci vorranno anni perché tutti, semmai si potrà, la capiscano.