Dettagli Recensione
Senza scuorno
Molte sono le espressioni in lingua napoletana contenenti la parola che dà il titolo a questo libro. La vergogna: "che scuorno", "senza scuorno", "nun tiene scuorno" e via scornando. Del resto la vergogna è un sentimento proprio degli uomini, sotto tutte le latitudini, legata com'è all'intimità del corpo e della mente, del pubblico e del privato, del singolo e della collettività. Ed ogni popolo riduce il senso della vergogna ad un certo suo posizionamento nel sociale, nella storia di appartenenza, nel contesto in cui si trova a vivere. Da questo posizionamento l’individuo procede ai necessari aggiustamenti, giorno per giorno, generazione per generazione. Un sentimento personale che diventa quindi collettivo e che nel personale è destinato a ritornare. In questo continuo trasferirsi, transitare avviene una sorta di transustanzione, che è cambiamento e adattamento, consapevolezza e apparenza, gioco e sfida, memoria e tradimento.
Insomma, mentre la vergogna, altrove, trova nel contesto della società, nelle istituzioni, nelle leggi, la sua giusta collocazione ed il corretto freno, a Napoli, la vergogna diventa “scuorno” pubblico, una sceneggiata, uno spettacolo, folklore e malinconia, gioco e dannazione, genio e sregolatezza. Alla considerazione “nun te miette scuorno?” si risponde con un plateale “me ne fotto”. Mi viene in mente a questo proposito di come reagì, anni fa, un buon napoletano, alla notizia che alcuni scienziati avevano avanzato delle perplessità scientifiche sulla verità del sangue di San Gennaro che si scioglie ogni anno, da secoli. Sulle mura della città apparve la scritta, diventata poi famosa, “San Gennà, futtitenne!”.
E’ a questo punto che il mistero diventa spettacolo, la vergogna diventa sfida. Una sfida a tutto: al mistero, alla scienza, alle leggi, alle istituzioni, alle regole. Tutto perchè la scienza è opinabile, le leggi ingiuste, le istituzioni non credibili, le regole inaccettabili. E allora, la vergogna è l’unico modo, sistema, quasi un “escamotage” per sfuggire alle proprie responsabilità sia singole che individuali. Meglio avere vergogna e fottersene, tanto la colpa è di tutti e di nessuno. Meglio non osservare la legge, si fa prima a buttare la spazzatura tutta insieme perchè non mi danno le buste giuste, i bidoni. Tanto mettono tutto insieme dopo, e tutto finisce senza vergogna e senza differenziata.
Indifferentemente. Tanto non c’è niente da fare. Le cose devono andare così. Che schifo! Nun tengono scuorno... Ecco, quindi, come Napoli è finita sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. E diventa anche letteratura in forma di antropologia, sociologia, cronaca, geografia, ecologia e via dicendo. Niente di nuovo sotto il sole, a dire il vero. Basta scorrere la sterminata letteratura sul “grand tour” esistente su Napoli e sul mito del sud per capire che niente è mutato. Napoli resta un “paradiso popolato da diavoli”.