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Tra paradiso e inferno
Primo incontro, per me, con la poesia di Adonis, al secolo 'Ali Ahmad Sa'id Isbir, poeta e saggista siriano considerato, a livello internazionale, tra i massimi autori del nostro tempo. Candidato più di una volta al Premio Nobel per la Letteratura, Adonis ha pubblicato nel 2012 questo suo “Concerto per Gerusalemme”, dando vita a un'opera di forte suggestione e dal profondo significato.
“Gerusalemme è un sogno-lingua. Lingua nella quale
la storia si mescola al prima e al dopo. Si mescola
all'uomo e alla realtà, al finito e all'infinito. È la terra
e l'acqua -
ci puoi impastare ciò che vuoi/”
È proprio la Città Santa la protagonista dei versi di questo piccolo grande poema: la Gerusalemme ricca di affascinanti echi ebraici, cristiani e islamici che s'intrecciano con naturalezza, la città dalle possenti mura “colme di tutti gli universi” e tese all'ascolto forse del respiro del mondo, la rocca sorta su una palma che, a sua volta, si erge su uno dei fiumi del paradiso. Come scrisse il teologo Ibn Abbas (VII sec.), “chi vuole guardare un luogo del paradiso, guardi la Città Santa”; al paradiso, non a caso, recita un hadith, dopo i profeti e i martiri sono destinati coloro che chiamano alla preghiera proprio a Gerusalemme, verso la quale si compiranno l'egira e il giudizio universale alla fine dei tempi.
Ma Gerusalemme, al tempo stesso, come ci racconta crudelmente la cronaca da ormai troppi decenni, è anche la città dannata dove continuano a consumarsi, troppo spesso nel silenzio distratto e indifferente del mondo, crimini indicibili che l'hanno consacrata come simbolo della sempre aperta questione israelo-palestinese. Adonis ne coglie tutta la drammaticità riversandola, ora con linguaggio allegorico e criptico, ora in forma più esplicita, nella propria articolata scrittura poetica.
“Gente che viene a Gerusalemme
dall'altro capo del mondo,
gente che si radica nel suo terreno e nella sua acqua.
Per tre che arrivano c'è un solo abitante.
L'abitante se ne va, chi viene rimane,
equilibrio demografico!
[…]
È la politica – un'altra architettura.
Non c'è oriente nell'oriente di Gerusalemme,
i villaggi attorno sono nebbia,
isolati, circondati da gendarmi di ogni tipo.”
“Ma dov'è il diritto internazionale?” - urla straziata la voce del poeta - “Non è ammesso, anzi è considerato un crimine.” E così la “deportazione silenziosa” (quella che lo storico israeliano Ilian Pappé definisce “pulizia etnica”), cui è stata condannata la martoriata terra di Palestina oltre settant'anni fa, non conosce mai fine.
“O Gerusalemme, Gerusalemme!
Nella tua età del bronzo, la mela era una donna.
Nella tua età petrol-elettronica la mela
è diventata bomba [...]”
“O carrarmati, o bombe, la forza vi dice: dilaniate prima
gli uomini, poi le altre creature, ma delicatamente
e chiamate il vostro attacco difesa o ricerca di pace.”
Resta, dunque, l'immagine di una città ritratta mirabilmente nella sua essenza più intima attraverso le sue pietre millenarie, le sue porte d'accesso, i suoi vicoli antichi, i suoi luoghi di culto che culminano nel Muro del Pianto e nella Cupola della Roccia, sullo sfondo di pesanti interrogativi che chi scrive non può non porsi:
“Perché ogni particella di cenere in Palestina
è una ferita aperta? […]
La storia della Palestina
è un autunno migrato oltre le stagioni?”
Una lettura, in verità, non semplice, forse un po' pesante al primo impatto (spesso, occorre ritornare sui versi più di una volta al fine d'interpretarli al meglio), ma infine molto appassionante, soprattutto per chi abbia visitato Gerusalemme almeno una volta nella vita e si senta legato alla città e alla causa palestinese.
Un grande e doveroso tributo da parte di una delle voci letterarie arabe contemporanee più significative!
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Commenti
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Sì, sempre una lettura molto attuale, ahinoi...
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Attuale e profondo. Grazie per la segnalazione