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"Cronache dai sepolcri"
Questo libro è il monumento alla letteratura funebre per antonomasia, con l’originale intuizione di dare la voce a chi non ha più voce, vale a dire ai defunti, affondando le sue radici nell’antica tradizione degli epitaffi e degli epigrammi che ha il suo archetipo speculare nell’Antologia palatina. Immaginandosi di visitare un cimitero di un villaggio del Middle West americano, denominato Spoon River, sostando presso ogni sepoltura, è come se dall’iscrizione di quel nome s’affacciasse un volto, si profilasse una storia che la stessa anima evocata tratteggia con pennellate immediate e impetuose, in tutta l’evidenza della verità che ora non si ha più motivo di nascondere, con la virulenza ironica di chi ormai non ha niente da perdere, con il crudo disincanto di chi non ha più pudore nello svelare il proprio errore. Perlopiù sono vicende meschine, legate agli interessi materiali o a colpevoli passioni, che nella maggior parte dei casi sono state la causa della fine; o ancora sono esperienze dolorose, di frustrazione e di umiliazione che hanno portato alla tomba; vi è posto, tuttavia, anche se più raramente, per sprazzi di serenità di chi è stato felice di aver vissuto laboriosamente e onestamente, nello stato di grazia dell’amore.
L’affabulazione è prosastica, ritraendo i personaggi nella loro nuda scabrosità, senza sacrificarli all’idealizzazione o all’infingimento letterario, nella concisione e nella mordacità dei versi, tralasciando considerazioni morali o esistenziali, ma esclusivamente in funzione di un intrigante racconto – quasi uno scoop -, in controtendenza alle sublimazioni romantiche, sulla scia del realismo della corrente narrativa americana.
“Tutti, tutti dormono sulla collina”: adesso, a vegliare sugli affanni e i travagli trascorsi, resta un silenzio di universale assoluzione, spezzato soltanto dal ricordo affidato a questo visitatore di passaggio, che, come per Dante – anche se con un altro intento -, ha l’ambizione di raccogliere tale sorta di “cronache dai sepolcri”, come per sollevare il velo dell’oblìo di ogni identità, ascoltandone sussulti, velleità e rimpianti, da questa distanza siderale che confonde le ombre in un unico respiro di dolente umanità.