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Uno, nessuno, centomila
Una sola moltitudine è una raccolta di poesie e scritti di vari eteronimi di Pessoa e vuole dare una idea di come la personalità dell’autore sia poliedrica. Pessoa è un contenitore di gente, i suoi eteronimi, con carattere, gusti, biografia e persino calligrafia diverse. La giocosità sotterranea con cui gli eteronimi discutono tra loro delle reciproche opere fa pensare che non solo il dolore ma anche la schizofrenia artistica con relative personalità multiple sia un prodotto artificiale della mente geniale di Pessoa. Gli eteronimi si differenziano nella personalità e quindi nel modo di scrivere e persino di guardare il mondo: Pessoa è affetto da un tedio paralizzante che lo induce a non volere nulla che non sia scrivere, De Campos è apparentemente più pratico, diretto e forse cinico, ma a me non dispiace, e Caeiro è il più bucolico e virgiliano in un certo senso, tutto pecore, vento e nuvole e cielo. Ci sono lettere in cui l’eteronimo discute l’opera letteraria dell’altro eteronimo dando l’idea della “moltitudine” ma soprattutto della solitudine da cui scaturisce questo fitto dialogo di più menti in una, da cui il titolo della raccolta. Dio, regno, peso di vivere sono i temi più presenti. Il regno a volte è quello del re Sebastiano (quello che sparì anche nella canzone di Guccini) di cui Pessoa si sentiva la reincarnazione o qualcosa del genere. Fa parte della sua difficoltà di vivere la difficoltà di amare e di avere sentimenti che in lui nascono principalmente dall’intelletto e non dalla sofferenza del vivere. La sofferenza è stata inglobata dall’ambiente estetico irreale in cui l’autore si è chiuso e quindi anche la vera sofferenza dell’autore è diventata letteraria e “finta” (anche se vera) e il suo dolore è di natura soprattutto intellettuale (tedio) come è spiegato nella famosa poesia Il poeta è un fingitore. Per lui la scrittura nasce da una tomba esistenziale spazio temporale esclusivamente dedicata all’arte e non dalla vita reale. Scrivere per lui significa vivere in una specie di acquario fatto di solitudine e letture e amici immaginari. Nell’arte la verità è il lievito dell’opera e non deve mai mancare, almeno così pensavano molti artisti “maledetti”. Certo la scrittura come la lettura ti rapisce dal mondo e non è facile avere il senso della misura. Ma, Pessoa non potrebbe nemmeno volendo ragionare così a proposito dell’arte dato che per lui la vita è sogno, quindi in ogni caso finzione e la vera realtà è altrove. E’ come se vivendo fosse stato calato nella finzione letteraria da un dio scrittore, come immaginato anche da Unamuno. Non ha altra scelta che lasciarsi vivere perché tanto, ogni cosa è stata decisa a tavolino dal dio della penna, e l’uomo non può che aspettare l’ultima pagina.
In tale finzione nella finzione, Careiro/Pessoa precisa che non è nemmeno se stesso perché si sente malato e essendo malato tutto quello che pensa e che dice è detto al contrario di come è, cioè è tutto un gioco del rovescio (da cui il romanzo di Tabucchi Il gioco del rovescio). Insomma è come se Pessoa facesse l’occhiolino ai lettori da una delle sue poesie suggerendogli: non vi preoccupate troppo per me o per quello che vedete/leggete/sentite e non prendetemi troppo sul serio. Io sono un altro. Io so chi sono, siete voi che non lo sapete e ora mi vedete al rovescio.
Sento orrore
Al significato racchiuso
In occhi umani…
Sento necessario
Nascondere il mio intimo agli sguardi
E alle inquisizioni degli sguardi;
non voglio che nessuno sappia ciò che sento,
oltre che non poterlo confidare a nessuno…
(F. Pessoa)
La luce della luna, quando batte sull’erba,
non so cosa mi fa ricordare…
Mi ricorda la voce della vecchia domestica
Che mi raccontava novelle di fate,
e di come la Madonna vestita da mendicante
girava la notte per le strede
soccorrendo i bambini maltrattati…
Se non posso più credere che ciò sia vero,
perché batte il chiaro di luna sull’erba?
(A. Caeiro)
Rientro e chiudo la finestra.
Mi portano il lume e mi augurano la buona notte.
E la mia voce contenta augura la buona notte.
Possa la mia vita essere sempre questo;
il giorno pieno di sole, o soave di pioggia,
o tempestoso come se finisse il Mondo,
la sera soave e i gruppi che passano
guardati con interesse dalla finestra,
l’ultimo sguardo amico dato alla calma degli alberi,
e poi, chiusa la finestra, acceso il lume,
senza leggere niente, senza pensare a niente, senza neppure dormire,
sentire la vita scorrere in me come un fiume nel suo letto.
E là fuori un grande silenzio come un dio che dorme.
(A. Caeiro)
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi,
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(A. De Campos)
Grandi misteri abitano
La soglia del mio essere,
la soglia dove esistono
grandi uccelli che fissano
il mio tardivo andare aldilà di vederli.
Sono uccelli pieni di abisso,
come ci sono nei sogni.
Esito se scandaglio e medito,
e per la mia anima è cataclisma
la soglia dove essa sta.
Allora mi sveglio dal sogno
E mi rallegro della luce,
seppure di malinconico giorno;
perché la soglia è paurosa
e ogni passo è una croce
(A. De Campos)
Le 4 canzoni che seguono
Si separano da tutto ciò che penso,mentiscono a tutto ciò che sento
Sono il contrario di ciò che io sono…
Le ho scritte quando ero malato
E perciò esse sono naturali
E concordano con ciò che sento,
concordano con ciò con cui non concordano…
Quando sono malato devo pensare il contrario
Di ciò che penso quando sono sano.
(Altrimenti non sarei malato),
devo sentire il contrario di ciò che sento
quando sono in salute
devo mentire alla mia natura
di creatura che sente in un certo modo…
Devo essere completamente malato-idee e tutto.
Quando sono malato, la mia malattia non è altro che questo.
Perciò codeste canzono che mi rinnegano,
non mi possono rinnegare
e sono il passaggio della mia anima di notte,
lo stesso paesaggio al rovescio….
(A. Caeiro)
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