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Ovvero, della libertà della mente
Edgar Lee Masters è uno dei poeti del secolo scorso che meglio di altri ha saputo incarnare le contraddizioni americane ( e non solo). E l’imaginaria Spoon River ne è la testimonianza.
Nel suo cimitero si celebrano vanti, peccati, desideri e rimpianti di chi non c’è più.
Anche se a lungo censurata in Italia, questa antologia racchiude in sé, in ogni verso e in ogni personaggio, una domanda pesante e mastodontica, di fatto costantemente glissata, almeno da me.
Ma io, sono davvero quello che faccio? Ovvero, cosa si dirà di me quando morirò?
Mi sono recentemente accostata alla lettura de “Il libro Rosso” di Jung, nel quale ho trovato ben più di una risposta a questo atavico interrogativo.
Anche questa antologia, nella sua semplicità, per certi versi mi aiuta a trovare il senso della risposta che giace nel fondo oscuro del mio lato d’ombra e che fatica ad emergere per ignavia.
Ecco: senza analisi freudiane, senza lunghe sedute di psicoterapia questa antologia apre un varco in chi ha voglia di guardarsi dentro.
Sempre che non ci si fermi ad una sbirciatina.
Chiaro, no?