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Giovani voci poetiche
Pubblicata nel 2020 dalla casa editrice Nulla die, all’interno della collana “I Canti, Sussurri”, Poesie dell’indaco è la quarta raccolta poetica del giovane autore marchigiano Andrea Sponticcia. La silloge è stata premiata lo scorso anno con una menzione d’onore alla IX edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, sezione libro edito.
“Quel che di me è andato perduto/ è quanto la poesia ha salvato.”, recita il testo più breve (“Manifesto”) tra quelli racchiusi in questo volumetto che si legge in un soffio, ma che invita a continui ritorni per soppesare parole, rimarcare espressioni, cogliere al meglio sfumature e prospettive.
È una scrittura sorprendente, quella di Sponticcia, che fin dalle prime pagine sa accostarsi garbatamente al lettore attraverso un linguaggio spontaneo, coinvolgente e ricco di immagini. I suoi versi sembrano scandagliare i fondali di un io poetico che affronta, non senza dolore, i temi del ricordo, della lontananza, dell’amore, della morte e, immancabilmente, del senso dell’esistenza e dello scorrere inarrestabile del tempo che, in un inestricabile intreccio, si snodano lungo i sentieri meditabondi della fragilità umana.
“[…] Capita a tutti/ di passar di mano. Finire smarriti. Sprecati. […]”: la palla da basket, che dà il titolo a una lirica molto significativa, diventa una metafora originale e ben riuscita che sembra trasmettere alla perfezione la precarietà dell’umano vivere (“[…] Non ho scopo/ fuori dal campo,/ eppure esisto/ e a volte sono felice. […]”), eternamente in balia di regole del gioco subite e mai decise. Semplicemente,“[…]Un disegno ancora in corso” da cui non esiste possibilità di fuga.
E mentre si sta “[…] stesi a guardare/ il cielo passare/ e le stagioni fluire […]”, si cade in silenzio “[…] pur di non intaccare/ la precaria stasi del mondo […]”. Affiora spesso tra i versi una sorta di rassegnata e amara disillusione, dalla quale prendono voce un senso profondo di solitudine e un’assenza che, in un certo qual modo, diviene presenza; l’immagine della casa che si svuota di colpo degli affetti, nella poesia dal titolo “Dopo la fine”, restando “spoglia e incolore”, si rivela di notevole incisività e si mostra in tutto il suo afono vuoto ineluttabile, allorché le parole sbiadiscono e si ritrovano anch’esse sole come accade al mare al cospetto della stagione invernale. La morte sfuma nella vita del ricordo che evade dalle cornici delle stanze ormai svuotate di mobili e invade così gli spazi sconfinati della solitudine.
Intanto, l’amore si scopre fatto di tenebra e pronto a mordere “più dei cani”.
“[…] quanto vorrei stringerti/ e farti sentire il sangue/ di queste lacrime,/ quanto vorrei saperti mia/ come la disperazione.” (“Mia”)
Una scrittura in versi particolarmente affascinante, impreziosita da ritmo e musicalità, che suscita, come del resto deve essere quando si legge un’opera letteraria, emozioni e riflessioni. Una pubblicazione di gran pregio, Poesie dell’indaco, che testimonia come la Poesia, anche grazie a voci fresche e di talento come quella di Andrea Sponticcia, continui a mantenersi ben viva e, per fortuna, a regalarci profonda bellezza a dispetto della superficialità e delle brutture del nostro tempo.