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Teopoesia
In tutta sincerità, scorrendo il catalogo on line dell’editore, sono stato colpito da questo strano titolo, nonché dall’indicazione di poesia non religiosa, bensì teopoetica, riportata nella quarta di copertina e rappresentate da un breve periodo della prefazione di Alessandro Barban.
Strano titolo, certo, forse in apparenza eccessivo per una silloge dai cui versi è lecito attendersi musicalità, dolcezza, pacata esposizione, ma questo non è significativo, perché come un abito non fa il monaco, così un titolo non fa una raccolta; molto più complesso è il discorso in ordine a quel termine, teopoetico di cui non trovi la definizione si Internet nemmeno cercandola con il lanternino e allora è giocoforza affidarsi a quanto precisato dal prefatore che scrive: “ non si tratta di poesia religiosa, ma di teopoetica, cioè di quello spazio interattivo teologico-spirituale di corpo, di intelligenza psichica e di anima spirituale proveniente dalla stessa esistenza dell’autrice, in cui la poesia diventa espressione di Dio e affermazione della propria vita.”. Non è che se ne sappia molto di più e allora è evidente che bisogna andare a leggere le poesie di questa raccolta, lettura che in ogni cosa è da fare se si vuole provvedere a scrivere una nota critica; dunque occorre passare alla lettura, non una lettura semplice e a sé stante, ma volta anche comprendere il significato di teopoesia. E tutto diventa più facile e si chiarisce fin dai primi versi (Spirito segreto / riflesso nel silenzio, / brucia la pula dei nostri pensieri / e prepara l’anima al parto ormai prossimo. / T’inserisci inadatto / nelle fessure del nostro tempo / e parli inascoltato / a vite già fissate… / ma non desisti. E torni / a suggerire levità a cuori appesantiti, / e risciacquare con premura / occhi duri impolverati…). C’è infatti una sorta di colloquio fra la divinità e il soggetto, tanto che mi viene da dire che la dimensione è senz’altro spirituale, mentre l’aspetto religioso, almeno in senso stretto, è appena abbozzato. In fin dei conti in tutti noi, credenti o meno, c’è la possibilità e la necessità di porsi delle domande, perché non siamo solo carne, ma anche e soprattutto spirito. È proprio questa nostra parte immateriale, evanescente a porsi o alla ricerca di Dio o a interagire con Lui, come nel caso di questa raccolta poetica, la cui novità, se così vogliamo definirla, è questa espressività in versi di un dialogo muto e intimo che è più frequente di quanto si possa immaginare, a volte scientemente, altre inconsapevolmente. Proprio per questa tipicità, per il sentire diverso in ogni soggetto e per quell’ancorarsi e disancorarsi, quell’abbracciarsi e quello sciogliersi, quel desiderio di comunicare e nel cercare risposte alle domande, la poesia di Debora Rienzi ha una tale valenza che la rende di non immediata comprensione, richiedendo invece più riletture, onde – elemento indispensabile – entrare in empatia con l’autrice. Poi, tutto diventa più semplice, è come se una luce scendesse dentro a noi a scaldare il cuore e allora anche il titolo appare pertinente.