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La palizzata pacifica
Il nuovo libro di Dario Voltolini, Pacific Palisades, narra di una vita attraverso la mappa di una città:
“Dentro ciascuno di noi c’è un territorio/ non sappiamo quanto segreto/ma è simile ad un midollo/appare dopo l’ultima difesa dura dell’osso”.
Sarà questo territorio ad essere considerato dall’autore “la palizzata pacifica”, che sta dentro di noi. Infatti Voltolini rintraccia la propria storia familiare sulla mappa di Torino (quartieri, ponti, locali) seguendo i passi di genitori e parenti, vivi o morti, filosofeggiando sulle loro vite e ricostruendo le loro morti in una serie di incontri. Alcuni di questi avvengono in posti precisamente geografici,
“in un ristorante di pesce/ sul 45°parallelo Nord/ del nostro pianeta”
Ed in altri luoghi universalmente riconoscibili, quali fabbriche industriali, crocevia urbani, paesini al mare, bar. Una delle protagoniste narrate da Voltolini, “la donna che va nei bar”, che è la zia dello scrittore girovagava per una città che può essere sì Torino, ma anche un’altra metropoli. Il lettore la segue curioso per strade e viali,incantato dal suo percorso, incuriosito dal suo spostarsi da bar in bar, dalla sua andatura scandita dai colori dei semafori, dai marciapiedi, dalle facciate dei palazzi, dalla luce che si trasforma mano a mano che la donna prosegue nel suo cammino. Spazio urbano e corpo umano si coniugano nel proseguo del testo, ma anche nella ricostruzione del passato. All’interno della storia della donna che va nei bar, c’è insito la storia della zia stessa, sorella del padre di Voltolini, e della tragica morte originaria dei vagabondaggi. La sua via per la città apre la strada a uno sguardo dentro un paesaggio che è interno, psichico. Vi è, infatti, nel testo una sorta di ricostruzione dell’album di famiglia, che diventa mappa dei territori che sono dentro ognuno di noi, di luoghi e paesaggi invisibili, di ciò che Voltolini definisce come
“il territorio dove continuamente si nasce”,
“non tanto un confine quanto un parapetto, una ringhiera fragile”.
E’ questo concetto di parapetto dentro di noi, una palizzata che resiste a prescindere, che è il fulcro del libro. E nel narrare appunto di pareti e parapetti – le scene traumatiche del passato- che l’autore li muta in esperienze affettive, generative che non si può non apprezzare in tutto il suo sapere in toto.