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Il poeta vede a occhi chiusi
E’ da un po’ di tempo che seguo la produzione di questa poetessa e posso senz’altro dire che si presenta in continua evoluzione, e non solo per le tematiche affrontate, ma anche stilisticamente. Sì, Angela Caccia non è uno di quegli autori che si considerano arrivati, finendo poi con il riposare un po’ sugli allori, bensì ha compreso che c’è ancora tanto da esplorare dentro il suo mondo interiore, così che ogni volta che si accinge a scrivere dei versi è una ulteriore sfida con se stessa, con ciò che sente e che vuole esprimere, con quello di cui ha appena una percezione e che vorrebbe cosi tanto schiarire, fare a uscire da quell’oscurità per avere ulteriori certezze. E’ anche questo il caso di Accecate i cantori, titolo in verità un po’ spiazzante, tanto che prima di leggere le poesie contenute in questa raccolta mi sono immaginato tanti bambini dalle candide voci privati degli occhi, accecati insomma. Ovviamente non è che Angela Caccia sia sadica e pertanto quell’accecate è in senso figurato, quasi a voler dimostrare che il poeta-cantore per vedere chiaro deve chiudere gli occhi. E in un certo senso è vero, perché la realtà dell’artista è un’immagine riflessa nel suo “io”, deformata, rivisitata, sensibilizzata, il tutto in un lavorio, probabilmente di neuroni, di cui il poeta non ha la precisa scelta o volontà; è un qualche cosa che nasce d’improvviso, una scintilla che poco a poco si fa luce; la creatività sembra indipendente, e in effetti lo è, dalla volontà dell’artista, come se dentro lo stesso ci fosse un altro, un puro spirito che si risveglia. In quest’ottica, pertanto, nascono le poesie, si stemperano le sensazioni e le emozioni nella penna che corre sul foglio e infine non è raro che l’autore stesso, a lavoro concluso, si meravigli del suo risultato. Per il resto il mondo di Angela Caccia è fatto di ombre che riemergono dal passato, da quei ricordi che il tempo in noi ha rielaborato e che l’abilità dell’artista ripropone nel loro significato, privo di perniciosi paludamenti, un’integrità di sostanza che sapientemente proposta si fa poesia. A dire ciò può sembrare avulso da una realtà obiettiva, potrebbe anche dare l’impressione di un astruso ragionamento di un pretenzioso aspirante critico letterario, ma per fugare questo dubbio non c’è di meglio di leggere questa raccolta, di assaporare verso dopo verso la prospettiva esistenziale dell’autore e in tal senso credo che un assaggio valga più di mille parole: "Ci vuole una minuziosa / e paziente / esperienza al male / quanto basta / per imparare a difendersi dalle parole / dalle mani spaiate / entrambe dispari incapaci di una stretta / dalla natura servizievole della compassione / dal fiore senza giardino / che vive e muore nello spazio di un vaso / non ci addestra mai al dolore / al male sì / per fronteggiarlo in qualche modo.".
Non mi resta che augurare buona lettura.