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Poesia dell’anima
Ho tenuto a lungo sul comodino questo libriccino donatomi da un padre che vive nel ricordo del figlio, l’ho sfogliato, ho letto qua e là, ho cercato di comprendere la poetica di un autore che troppo presto è venuto a mancare.
Mi piacciono questi versi che erano su fogli a mani della fidanzata, ma cerco nel limite del possibile di essere del tutto imparziale nel giudizio, che non voglia sia influenzato da questo doloroso evento che ha stroncato una giovane vita. Mi dico e mi ripeto che Antonio più che mai ora deve avere un giudizio obiettivo sulla sua arte, perché è doveroso soprattutto per lui e intendo che si ricordi la sua opera per il suo intrinseco valore e non per altre circostanze, anche perché c’è una valenza intrinseca effettiva di un autore che si può definire in itinere, che non aveva ancora maturato una consistente esperienza, ma che aveva molto da dire.
A volte sono poesie lunghe, altre notevolmente brevi, tanto da sembrare dei frammenti e si avverte chiaro che sono state scritte in epoche diverse, ma quello che è lo stile, per nulla aulico, anzi stringato – ma non per questo meno piacevole – è quello e probabilmente sarebbe stato quello, se il destino benignamente gli avesse permesso di vivere, fra trent’anni, magari un po’ più sfumato, ma pur sempre incisivo. Mi si potrà obiettare che comincio a parlare dell’opera con la forma e non è un caso però, poiché la forma è sì una modalità di espressione, ma in questa raccolta è parte stessa del costrutto, del discorso che si vuole sviscerare, della sostanza a cui si tende. Versi brevi, a volte quasi raffiche, sospensioni, arresti improvvisi, ma seguiti da tre punti che avvertono che il discorso non è cessato, ma prosegue nei sottintesi. Una bella maturità, direi, perché una forma siffatta non solo non è facile da realizzare, ma potrebbe – e non è questo il caso – rendere meno accessibile, e quindi poco piacevole, la lettura.
Certo, diverse poesie non nella stessa epoca comportano anche una tematica varia, ma a me quello che pare evidente è che il filo conduttore è la ricerca delle risposte a tante domande essenziali: perché vivo, dove vado, che senso ha il mio essere qui? Quesiti che non sono infrequenti, ma che in genere un giovane, a meno che non sia particolarmente maturo, di certo non si pone. E invece Antonio è quasi assillato da queste domande, cerca una risposta che ognuno crede di trovare, ma che non è mai quella giusta, e lui invece probabilmente ci azzecca. Tende, sovente in modo pudico, a quel livello che generalmente chiudiamo in un vocabolo che desta stupore: l’assoluto. Si rende conto, cioè, che la terra imprigiona troppo, che l’uomo per sentirsi libero e realizzato deve avere una visione non principalmente materialistica, e questo tentativo di librarsi porta non di rado a composizioni che hanno il notevole pregio di infondere grande serenità nel lettore. La sua non è semplice poesia, è qualcosa che viene dal più profondo, è un canto, il canto dell’anima.
Nel leggere queste poesie invito l’appassionato a coglierne l’essenza, a lasciarsi andare a quella serenità che io ho trovato nei versi, un appagamento totale che da solo già giustifica il mio giudizio ampiamente positivo di questa raccolta.