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Mai fu più intensa una così breve vita
Spesso ignorato, a volte appena oggetto di un accenno, l’opera del poeta ha rischiato di affondare nelle sabbie mobili dell’oblio, evento nefasto a cui non poco ha contribuito la figura dell’autore, poliedrica, interprete genuina di un ceto diseredato a cui ha tentato di dare una speranza. Certo la figura di Rocco
Scotellaro, sindacalista, uomo politico sindaco di Tricarico, avvolta nel mito ancor più reso incisivo dall’improvvisa scomparsa a soli 33 anni di età, splende a tal punto da correre il rischio di oscurare lo Scotellaro poeta, nonché narratore, artista di non poco conto, anzi fra i grandi della seconda metà dello scorso secolo. Il rischio più grosso, però, fu che questa notevole produzione poetica restasse nei cassetti, ma per fortuna Carlo Levi, che aveva conosciuto Scotellaro negli anni del confino, la rese nota con la pubblicazione nel 1954 di una raccolta intitolata E’ fatto giorno. Ci troviamo quindi di fronte all’atipico caso di un poeta postumo, giacché nella sua breve vita non ebbe la gioia di essere alla ribalta, almeno in questo campo. Successivamente seguirono pubblicazioni di altre raccolte, fino a quando non si decise di provvedere organicamente alla messa in stampa dell’opera omnia ed ecco allora il presente volume, secondo una ricostruzione e un accorpamento dei vari testi effettuata da Franco Vitelli che, nella nota introduttiva, precisa di averli divisi in quattro blocchi (E’ fatto giorno; Margherite e rosolacci; Frammenti ed epigrammi; Canti popolari). Credo che questa impostazione, oltre a rendere più omogenea la pubblicazione, abbia anche il pregio di cercare un accomunamento di tematiche che tendono meglio a delineare l’intrinseca elevata qualità di questa poesia neorealista.
In ogni caso le liriche, armoniche, sono di particolare bellezza nella loro varietà e, per dimostrarlo, eccone due: da Lucania ( M’accompagna lo zirlio dei grilli / e il suono del campano al collo / d’un inquieta capretta. /…) e da L’acqua piovana (Salute, miei parenti morti, / l’acqua piovana vi lava la faccia. /…).
Sullo sfondo c’è sempre la terra natia verso la quale il suo amore deve essere stato viscerale, come viscerale era quello per i suoi abitanti, per i miseri contadini delle valli, e in genere per tutti gli ultimi di questo mondo. Ecco che ritorna, in poesia, il forte impegno civile e sociale, come in Pozzanghera nera il diciotto aprile (Carte abbaglianti e pozzanghere nere…/hano pittato la luna / sui muri scalcinati!/ I padroni hanno dato da mangiare / quel giorno si era tutti fratelli, / come nelle feste dei santi / abbiamo avuto il fuoco e la banda. / Ma è finita, è finita è finita / quest’altra torrida festa / siamo qui soli a gridarci la vita / siamo noi soli nella tempesta. / E se ci affoga la morte / nessuno sarà con noi, / e col morbo e la cattiva sorte / nessuno sarà con noi. / I portoni ce li hanno sbarrati / si sono spalancati i burroni. / Oggi ancora e duemila anni / porteremo gli stessi panni./ Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / le maschere coi denti.). Direi che questa poesia è quella che meglio di tutte delinea Rocco Scotellaro sindacalista, politico e poeta, una fusione più unica che rara, un’immagine che di per sé non ha bisogno di commenti. Le poesie di questo volume sono tante (468) e mi piacerebbe riportarne delle altre, ma sarebbe superfluo, perché non c’è di meglio che di leggerle piano piano, centellinando i versi, correndo con la mente a un mondo arcaico, a una civiltà contadina bruciata da un travolgente progresso industriale, e di cui non restano più nemmeno le ceneri, se non nei versi, spontanei, magari sofferti, ma appassionati di un uomo la cui vita, alquanto breve, fu intensa come una lunga combattuta esistenza.
Da leggere, perché i capolavori devono essere letti.