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Meglio per tutti dare la colpa a me
 
Meglio per tutti dare la colpa a me 2008-01-29 03:47:29 Ugo Mastrogiovanni
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Opinione inserita da Ugo Mastrogiovanni    29 Gennaio, 2008

Il mio parere su "Meglio per tutti dare la colpa a

Ho ricevuto “Meglio per tutti dare la colpa a me”. Avevo promesso a Nico che l’avrei acquistato e l’ho fatto, ancora non ho avuto il tempo di fare un’ora di lunga fila alle poste per versare i 10 euro a Graus editore, ma lo farò nell’entrante settimana. Ho letto tutta il lavoro con molta attenzione e, anche se la mia formazione, ricevuta da genitori di fine ottocento, non mi permette di approvare pienamente né l’uomo, né l’etica usata, non può che assolvere l’autore e la sua opera.

Cosentino non è un poeta, Cosentino è un raffinato prosatore impregnato di poesia. Solamente brevi tratti del suo lavoro rasentano la liricità, ma bastano a farci conoscere la vastità del suo animo, la complessità dell’uomo bambino che è in lui. In “Non voglio”, dopo gli innumerevoli “non”, lui stesso trova una positività: , quindi si evince subito che Nico è prevalentemente uno scrittore.

Principalmente autobiografica, la sua terminologia scurrile e spinta diviene un’arte letteraria, un componimento difficile, non per tutti, perché non è facile possedere, né scrivere con un linguaggio come quello di Nico; è molto più difficile leggere un lessico volgare e osceno. Io, perplesso all’inizio, sono riuscito a leggerlo fino in fondo perché mi sono fatto prendere da quell’interesse che ti spinge a “vedere dove vuole arrivare”. E, non solo coraggio, ma ci vuole fiducia in se stessi, proprio quella che l’autore afferma sempre di non avere, la certezza di suscitare il desiderio di sapere e quindi di essere letto.

Desta enorme meraviglia la sua grande sincerità. L’artista, provocatorio, sprezzante, plateale, plebeo, non ha paura di raccontare le varie sfaccettature della sua vita; da grande uomo, spavaldo, sicuro di sè, spesso spaccone, verace “sciupafemmine” napoletano, bevitore e arrogante, non si vergogna di palesarsi stanco, solo, annoiato, fallito, desideroso di lasciarsi il mondo alle spalle, bisognoso di affetto, di amore, amante delle piccole cose, sognatore.

Apparentemente artista difficile da inquadrare, ecco che diventa squisito poeta quando scrive ; un passaggio di eminente lirismo, riscatto delle sue “malefatte”, se così mi è permesso chiamarle. Mentre provoca e disprezza la realtà, si commuove per un gattino abbandonato, confessa di non essere più quel Tigre che sembrava. Mentre fa capire che la donna è per lui solamente un oggetto, non disdegna di intenerirsi a scaldare i piedi freddi della sua compagna ed usa sovente il verbo amare coniugato in modi e tempi diversi. Dà ad intendere che è uno squattrinato, ma non si fa mancare nulla; che è un senza tetto, ma ha sempre un’abitazione nella quale passa molto tempo a pensare, a scrivere e a guardare il mondo dalla finestra. Guarda un mondo che non gli piace ma che non disdegna perché ne raccoglie e gusta i particolari. Dimostra di conoscere nei minimi particolari la sua città e la vive, la respira, la canta affascinato.

Molte pagine servirebbero ancora per descrivere la personalità e l’arte di Casentino, ma è doveroso essere brevi e concludo. Cosentino si sente poeta, non ha i tutti i crismi necessari, non è un rimatore, non è un classicista, non canta un cielo limpido ove qualche fiocco di nuvola di passaggio lo fa velare per un attimo, non canta la luce del sole che abbaglia e scalda, non propone atmosfere rarefatte, non inneggia a balsami beati dove l’animo riposa dalle lunghe traversie, ma è se stesso: scrive poesia a modo suo, scrive con l’impeto di chi non accetta ma persegue i suoi slanci incontrollati, mette in luce sentimenti e stile diversi e riesce ad essere egualmente romantico.

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