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Osare dire
 
Osare dire 2016-08-25 15:25:42 lorenzofava94
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4.0
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lorenzofava94 Opinione inserita da lorenzofava94    25 Agosto, 2016
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"Osare dire": sì, ma cosa?

“Osare dire”: sì, ma cosa? Questo mi sono domandato vedendo la copertina del libro, edito a Marzo del 2016 da Einaudi. La poesia messa in copertina ce lo spiega, almeno parzialmente:

Com’è, come sarà
Vivere senza ricevere aiuto,
senza favori, protezioni
senza materne associazioni,
anche quando la febbre sale,
anche quando il fiume straripa
e travolge il riparo, orto e baracca.
Sarà come vive il resto della natura,
vicino ai predatori e senza paura.

Mi è parso chiaro come Viviani si fosse voluto, all’età di 69 anni, fare portavoce di un’antica visione della vita, maturata nel suo cammino di uomo e di poeta. Viviani osa dire. Osa dire a chi legge il vero che i poeti sono affannati a smontare e rimontare, il vero che egli dice, con chiaro eco montaliano, i poeti non possiedono. Eppure, alcune risposte esistenziali in queste pagine si trovano, spesso piazzate in chiusura del testo. Vere e proprie sententiae che chiudono in uno o due versi la lezione che il poeta vuole dare ai suoi lettori. Sono spesso lezioni amare, racchiuse in parole semplici alla lettura, incastrate in giochi linguistici talvolta elementari ma sempre dotati di tremenda efficacia. Anche in questa raccolta, non mancano componimenti di stampo aforistico, che seguono la tipologia di scrittura a cui Viviani ci aveva abituato nei suoi ultimi lavori. In “osare dire” questa vena non scompare, ma pare a tratti più diluita, forse meno pungente, ma può sempre capace di riservare perle di caratura notevole (da leggere e rileggere la pazzesca riflessione sulla vita di pagina 65, dove da un dato biografico si arriva ad un’intuizione generale, quasi seguendo una sorta di induzione: tutti i mortali capiscono tutto,/ mentre noi crediamo solo agli immortali. Seguendo una riflessione classica, altro elemento portante della raccolta è l’esaltazione del vir bonus dicendi peritus: sono infatti numerose le pagine in cui Viviani mette in risalto le magiche proprietà della parola, la loro onnipresenza nelle cose terrene e ultraterrene: ma ad un certo punto arrivarono le parole,/ e allora non c’è più prato e cielo/ ricordi e prossimità,/ paradisi e conforto,/ prove di libertà,/ ci sono loro. Loro che a niente servono se non abbinate a quella scaltrezza, a quell’ impulsività giovanile che, “osa dire” Viviani, non va lasciata finire prima del tempo. Come è facile intuire, questo titolo quasi d’annunziano non è solo portavoce di lezioni di vita. Qui ci vengono anche sparate verità amare e, talvolta, crude: senza troppi convenevoli si incagliano nel cervello e divengono spunti di riflessione. Un chiaro esempio è la considerazione sulla malattia di pagina 17, uno dei pochi casi (se non l’unico) in cui nelle pagine fa capolino un piglio di rabbia: in tutta la raccolta domina infatti una sorta di saggia fermezza, che si confà perfettamente ad uno psicanalista d’età avanzata qual è Viviani. La vita, nel suo significato più ampio, è tutto un transito di agenti e reagenti,/elementi e pensieri, danze e gravidanze, studi/ e pioggerelline, la vita è un godere le essenze cercate nei profumi, i profumi che secondo il poeta vanno cercati con coraggio e umiltà, doti messe su un piedistallo in ogni sezione del libro. L’impellente bisogno di esistere è forse l’elemento portante della parte finale della raccolta, intrisa di questioni quasi metafisiche ma sempre messe in relazione con dati tangibili ed elementi concreti. L’ineluttabilità delle cose terrene trova un rimedio nell’eterno, quell’eterno cui è possibile guardare oltre, sapendo che il piccolo moto che siamo stati/ appena è stato trasmesso/ può fermarsi: è lì che dobbiamo quindi insistere, godere di questo lieve fremito che siamo, anche se poi arriverà inevitabilmente la paura per una vecchiaia che aspetta tutti al varco, là, dove si ricevono le visite settimanali. La fine è poi la pietra angolare che regge l’ultima sezione della raccolta: come incredibile è l’ avvio, la prima smorfia, altrettanto può esserlo la morte, quel tornare parte della Natura alla quale apparteniamo. Noi restiamo qui è il verso che chiude la raccolta. Noi restiamo qui, però, con qualcuno che ci dice di non aver freni, qualcuno che ci dice che chi non dà il massimo nel tempo che abbiamo a disposizione resta nella fossa tale e quale l’hanno calato, qualcuno che “osa dire” che le persone non fanno caso a come gli anni ci scorrano sotto agli occhi e rimangono talvolta vuoti, irti di pensieri ingannevoli e futili e non densi di gioia, stupore e ammirazione per quella meravigliosa creazione che è l’Uomo.

Da un punto di vista linguistico, il libro procede per schemi ben delineati: componimenti brevi, molte volte di un solo periodo, chiusi spesso da distici che danno una sorta di soluzione all’enigma posto in precedenza. Numerose ripetizioni e giochi di parole (spesso paronomasie) sono gli ingredienti stilistici che danno sapore alla raccolta di un uomo che dà come l’ impressione di voler essere, per il lettore, un valido consigliere capace di indicare ciò che non è immediatamente percepibile agli occhi.

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