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Tentazioni
 
Tentazioni 2009-04-05 09:35:22 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    05 Aprile, 2009
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Tentazioni per vivere

Penso che qualcuno potrebbe chiedersi il perché di questo mio commento critico, visto che di questa silloge sono stato già il prefatore, ma gli risponderei che, nulla rinnegando di quello che ho già scritto e che forse altri avrebbero meglio esposto, le inevitabili successive pause di riflessione mi hanno indotto a stilare questa recensione in modo del tutto particolare, al fine che sia meglio comprensibile il pensiero filosofico dell’autore e la sua ars poetica.

Ad ogni buon conto riporto di seguito la mia prefazione e continuerò, riallacciandomi ad essa, a svolgere quello che ho in mente e che auspico possa risultare comprensibile, a tutto beneficio di una serena valutazione dell’opera.



Un uomo e la vita, un essere brancolante nel buio nella ricerca della comprensione di ciò che veramente caratterizza e dà un senso all’esistenza.

Il poeta, nell’osservare se se stesso e il mondo che lo circonda, adotta una lente che è una specula dell’anima, così che più che parlare della realtà oggettiva descrive le sensazioni che ne ritrae, non sempre condivisibili, ma sicuramente percettibili.

Fabrizio Manini in Tentazioni ci offre la sua interpretazione dei grandi temi della vita, osservati da un’ angolazione che, pur portando a una realtà soggettiva, offre al lettore spunti, riflessioni, indagini che finiscono per coinvolgerlo, perché l’esistenza ha eguali elementi salienti per tutti.

Ma se l’amore, così tanto cantato, sognato, idealizzato, sublimato da altri poeti, qui trova una sua malinconica espressione, come di un desiderio soffocato da un velo di pessimismo alla cui base c’è il rifiuto di qualsiasi forma di omologazione, la morte è il tema ricorrente, puntualizzato, ripetuto quasi ossessivamente anche per inconscia sdrammatizzazione.

Dunque, eros e thanatos, temi ricorrenti in poesia fin dai tempi antichi, ma anche metafore, laddove si consideri che l’amore, per quanto tribolato e sofferto, rappresenta la vita, mente la morte è appunto la sua antitesi e, nel pensiero di Manini, è l’unica certezza di tutto un percorso in cui le altre presenze sono solo riflesso di una volontà di celare ai nostri occhi quale è il nostro comune destino.

In questo senso, anche il titolo dell’opera, Tentazioni, trova il suo significato più appropriato, in una chiave di religiosità naturale che vede nei desideri difformi dalla naturale essenza umana delle chimere che ci creiamo per distoglierci dal grigiore quotidiano.

Così, anche il dialogo con la morte finisce con il divenire l’illusorio obiettivo di una congiunzione a priori, una proiezione dei nostri timori, delle nostre angosce che ci rende consapevoli delle stesse, finendo quindi per accettare il nostro stato di pavidi mortali.

In queste poesie c’è tutto il frutto di una lunga maturazione, di una autoanalisi, spesso impietosa, che ha portato il poeta gradualmente a una corrosiva rassegnazione, in un pessimismo sottile che si dilata oltre i normali confini della nostra dolenza, ma che ha il pregio di fargli riscoprire una virtù quasi desueta, quella pietà che ancora può farci accettare la vita per quel che è.

E se l’esistenza è permeata da una magmatica rabbia interiore che porta anche all’odio, a quell’odio di vivere che nei versi traspare in un lacerante urlo silenzioso, resta comunque il malinconico flusso di un pensiero che si fa carne per poter dire:



Qualcuno ha detto

che non si finisce mai

di morire.

Non ho fatto altro,

non so fare altro.

….



Questa è una silloge sofferta, ma anche una confessione liberatoria che a tratti travolge il lettore, pur senza sconvolgerlo, perché in ciò che è scritto non è difficile ritrovarsi, giorno dopo giorno, ora dopo ora, in un’esistenza in cui solo le tentazioni permettono di sopportare il male di vivere.



Sono trascorsi alcuni anni da Ballate di vita, di morte e d’amore, lavoro che già connotava le caratteristiche dell’autore, e una lenta, ma proficua evoluzione, ha portato al compimento di questa opera di indubbia maturità, non solo stilistica, ma anche di pensiero.

Il tempo passa per tutti, ma per un poeta è l’occasione per aggiungere riflessione a riflessione, per scendere sempre più in profondità dentro se stesso, cercando di dare risposte a domande primordiali che tuttavia assumono con l’esperienza e situazioni contingenti diverse vesti nuove, quasi camuffate, ma sotto l’abito sono sempre loro: perché esisto, chi sono, dove vado.

Sono quesiti, che esplicitamente o anche in modo larvato, appaiono già nelle citate ballate, così come nelle opere successive, cioè Voglio che dio mi mostri il suo volto e Grigie distese.

E’ un percorso di conoscenza che, senza portare a comprensioni assolute, ogni volta consente di vedere un po’ più in là, di rischiarare, magari solo appena, il buio che, più che fuori, è dentro di noi.

Manini con Tentazioni non arriva a risposte certe, né mai vi arriverà e così anche gli altri poeti, ma acquista un barlume di verità tale da permettergli di proseguire in questo viaggio dentro se stesso con la convinzione che la via prescelta sia quella giusta.

Posto che la morte è l’unica certezza, si aprono così tanti sipari di fronte a quesiti che sempre, ma soprattutto ora in questa civiltà dell’apparenza, sono imprescindibili dalla logica raziocinante della mente e dall’impeto naturale dell’animo.

Se le tentazioni sono falsi scopi per farci accettare la monotonia della vita, è altrettanto vero che già l’aver evidenziato questa circostanza rappresenta una svolta, una pietra importante nella tormentata ricerca della risposta alla domanda “chi siamo”.

E, nella malinconia di chi procede a tentoni sapendo che altro non potrà fare, si snodano i versi di un tormentato colloquio intimo di cui il lettore a poco a poco diventerà partecipe.

Tentazioni è sicuramente un’opera caldamente raccomandabile.

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