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Le metamorfosi
 
Le metamorfosi 2016-01-02 17:11:34 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    02 Gennaio, 2016
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Epopea del mito

Le Metamorfosi sono probabilmente il vertice della produzione di Ovidio, che vi si dedicò fino all’8 d.C., quando andò in esilio. Si tratta di un poema epico-mitologico in 15 libri, contenenti una vera e propria raccolta di innumerevoli miti attinti a svariate fonti, che percorrono l’intera letteratura greca e latina.
Ovidio stesso designa la sua opera come un carmen perpetuum, ossia un canto ininterrotto, che parte dalle origini del mondo (il Caos primigenio) e giunge fino alla storia contemporanea (il catasterismo di Cesare e l’apoteosi di Augusto), ricapitolando tutte le storie e i cicli mitici della cultura antica. Il poema si chiude con una sorta di commiato da parte dell’autore, che si autoelogia per la grande opera terminata e ritiene di poter meritatamente aspirare all’eternità grazie alla sua poesia. L’immensa materia di questa epopea del mito – circa 250 sono i miti narrati – non è disposta in maniera del tutto caotica e casuale come appare, ma si possono rilevare alcuni, seppur labili, criteri ordinatori: un criterio cronologico, un criterio spaziale, un criterio d’analogia o di contrasto di metamorfosi o di tematiche, un criterio di legami genealogici tra i personaggi coinvolti.

Nell’accostarsi a questo genere letterario Ovidio non poteva non tener conto dell’illustre precedente, l’Eneide di Virgilio, che recentemente aveva riportato in voga il poema epico, la forma letteraria più confacentesi alla poesia celebrativa; tuttavia, ben conscio della complessità della sua operazione artistica, Ovidio si relazionò al genere in maniera originale, proseguendo in quella degradazione del mito in senso umano che aveva già iniziato nelle Heroides. Dunque i personaggi delle Metamorfosi sono efficacemente rielaborati dal poeta, che in tono distaccato narra le loro storie che vedono spesso protagonista l’amore, la più umana delle passioni: di conseguenza l’umanizzazione va a coinvolgere non solo gli eroi e le eroine del mito, ma persino le divinità, vittime degli stessi sentimenti che caratterizzano l’uomo. Peraltro, il ricorrente ritorno del tema erotico è funzionale ad instaurare un elemento di continuità con la passata produzione elegiaca e didascalica del poeta.
La struttura stessa dell’opera, poi, ricollega il poema, più che all’universale modello virgiliano da poco impostosi, ai dettami della poesia alessandrina: il rifiuto che essa prevedeva nei confronti del poema epico di ampie dimensioni, infatti, non cozza con l’opera ovidiana dal momento che quest’ultima è, in definitiva, costituita da una serie di storie in sé autonome e conchiuse, dunque veri e propri epilli, legati tra loro dalla metamorfosi. Il tema della metamorfosi è dunque il filo rosso sotteso all’intero poema, che si propone di narrare la storia dell’uomo secondo l’ininterrotto divenire. Illuminante a proposito del concetto di metamorfosi è il lungo discorso di Pitagora nel XV libro: nell’illustrare la teoria della metempsicosi, il filosofo dimostra che tutto sia in costante evoluzione e come la materia sia continuamente soggetta a un mutamento di forme che mai lascia andar perduta l’essenza. In tutte le metamorfosi che vengono descritte c’è sempre un elemento di continuità che si preserva nel passaggio dalla forma precedente a quella nuova, proprio come accade nella metempsicosi pitagorica.

Molto si è discusso a proposito delle implicazioni politiche sottese a tale opera. Ben noto è infatti che Ovidio, pur appartenente al circolo di Mecenate, ebbe rapporti non sempre perspicuamente positivi con Augusto e la sua ideologia, nei confronti della quale la sua produzione letteraria non può che suggerire un certo contrasto. Di conseguenza, se la coltivazione del poema epico rispondeva ai dettami della poesia celebrativa che il circolo imponeva, d’altro canto la scelta di una simile materia mitologica sottraeva Ovidio a una non sentita servile adulazione. Pertanto, gli estremamente sporadici riferimenti alla gloria della Roma augustea e l’ultima sezione, con la narrazione della trasformazione in stella di Cesare e dell’apoteosi di Augusto, sono probabilmente da intendere come meri atti di omaggio dovuti. Eppure, dietro di essi non si è mancato di scorgere un’ambiguità di fondo, che sembra, pur glorificando l’attuale splendore Roma, presagire un futuro inesorabile declino. Il culmine di ciò si trova nel commiato, dove la speranza di una propria personale fama eterna non è affidato alla potenza di Roma, ma alla propria poesia, unico mezzo per garantirsi l’immortalità.

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