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Il valore della parola
L’uomo cominciò a essere cosciente con l’uso della parola, prendeva in mano un sasso e così sapeva a che corrispondeva quella “cosa” magari trovata per terra. E come la realtà all’intorno assumeva i nomi delle sue componenti, i nostri progenitori iniziarono a parlarne. La parola rappresentava quindi la realtà tangibile e solo più avanti nel tempo, con l’avvento della poesia, la parola cominciò ad andare oltre la concretezza che era sotto gli occhi di tutti. Essa, opportunamente congegnata, cominciò a identificare anche ciò che non si vede, ma si percepisce, si avverte, come nel caso delle emozioni. E la scelta della stessa per identificare uno stato d’animo divenne oggetto di ricerca, finendo con l’impreziosire i versi delle poesie.
Un touch e scompare un volto, ove quel touch è certo un tocco, ma non lo è solo per somiglianza di vocaboli, poiché è fortemente d’impatto sotto l’aspetto fonetico; Il poeta sa farsi pastore del destino, ove quel pastore richiama greggi condotte da un uomo, colui che accudisce alle pecore, e nel caso specifico il poeta diventa l’essere che non accetta supinamente il corso delle cose, ma vuole essere libero di scegliere la vita che desidera, divenendo così un pastore, magari illudendosi, del destino che gli è riservato.
Questa ricerca della parola più appropriata è una delle caratteristiche di I giorni e le strade, l’ultima raccolta poetica di Carla De Angelis.
In effetti il ricorso a termini mirati impreziosisce l’opera, costituendone comunque solo un aspetto sartoriale, per quanto di pregio, mentre invece la presenza pressoché costante della metafora rafforza queste poesie non legate da un tema comune, bensì frutto di occasionali emozioni prontamente salvate, con uno stile senz’altro scarno e non aulico e che solo in questo sembra ripercorrere le vie dell’ermetismo.
No, Carla De Angelis cerca di ritagliarsi un angolo poetico tutto suo, in cui, pur sotto l’influsso di correnti e dello spirito di poeti, per lo più moderni e ormai defunti, scava, come lo scultore nel marmo, un suo personale modo di esporre con cui portare avanti quel messaggio che, consciamente o inconsciamente, di volta in volta frulla all’improvviso nella sua mente, imponendole la necessità di immediatamente fissarlo su un foglio.
Ed è così che si trovano in questa raccolta liriche messe lì, senza un ordine logico, un flusso di emozioni che è il più disparato (Non ho radici / sosto dove sto bene / rubo all’istante il suo significato /…; Potavo lacrime agli alberi / imparavo a usare il verbo / delle radici / il pensiero germogliava /…; Il sorriso si arresta sull’orlo della gioia /….).
Per quanto non unite da un unico tema, tuttavia c’è un comune fil rouge, che le caratterizza e che sta evidentemente a cuore all’autore, e questo filo conduttore è la vita, in tutti i suoi aspetti, nelle gioie e nei dolori, una serie di riflessi che, incisi nell’animo, si affacciano allo scoperto quasi con pudore.
Se non c’è un retrogusto di gioia, non ce n’è però uno di malinconia, anzi si evince un certo pragmatismo, che non vuol dire materialità, né accettazione supina, bensì presa di coscienza dei nostri estremi limiti, entro i quali possiamo, nonostante il poco tempo, effettuare una continua ricerca in noi stessi, onde approdare a una conoscenza, e non alla conoscenza, perche di questa ce ne sono tante quanti sono gli uomini. Eppure, benché ci sia chi cerca in questo modo in Italia come all’estero, queste individualità avvicinano anziché allontanare, e concorrono a formare tasselli del grande mosaico del sapere, un’opera che è sempre in progresso e che mai sarà terminata.
Leggete questa raccolta di poesie e cercherete di scoprire gli angoli più reconditi del vostro animo, soffermandovi, di tanto in tanto, sulla valenza delle parole, perché queste non sono solo alcune lettere artatamente combinate, sono invece l’essenza di un concetto.