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Amarcord
Di Gabriele Oselini avevo già letto Piove, una silloge che mi aveva positivamente impressionato per il languore che lentamente mi avvolgeva nello scorrere quei versi che così efficacemente descrivevano un paesaggio, quello padano, da cui, pur essendo abituato, mi è ancor oggi impossibile non restare attratto.
Questa nuova raccolta, dall’emblematico titolo La mia casa, mi fa sprofondare nell’essenza di una natura e di un modo di vita che va scomparendo, in una sorta di Amarcord che dolce scende dal cervello al cuore. Più che una riscoperta, più che una poesia del ricordo, mi sembra di essere presente al canto di una civiltà che mi ha cullato e che ora vuole abbandonarmi, anche se non è così, perché l’abbandono è solo, pur inconsciamente nostro.
Sono visioni che si ripetono di una tradizione agreste, di un’epoca in cui la famiglia aveva un diverso significato, in cui le ricorrenze assumevano quasi una sacralità che assai presto non potremo che rimpiangere ( da Gnolini: sulla bianca tovaglia / in fila / sinfonia / di forme rotonde / giallo caldo / pieno /…). Sembra di vedere questi agnolotti appena creati dalle abili mani della massaia, ben allineati, in modo da non incollarsi, dalle forme, dal colore e dal profumo invitante, in tacita attesa del brodo in cui andranno a cuocere per la delizia del palato.
Ma é tutta un’atmosfera che si viene a ricreare, quella di un mondo che assai probabilmente i prossimi nati non conosceranno, mentre gli altri, quelli già con un po’ di anni sulle spalle, hanno inconsciamente disconosciuto, schiavi dell’avidità per un denaro che non basta mai e continuamente desiderosi di un effimero nuovo (da Donna dei ricami: quale sia / il tuo pensiero / seduta / sulla sedia di paglia /vicino ai girasoli / assetati d’agosto / non so / donna dei ricami /…). È un’immagine ieratica, di un tempo lento, mai fuggente, una perfetta integrazione di un essere umano con la natura, una visione che ormai non è che un ricordo.
Mi permetto di evidenziare come questi versi non siano aulici, ma nello loro scarna brevità riescono a coinvolgere il lettore, immergendolo in un’atmosfera accogliente e rarefatta. Il prefatore addirittura fa un richiamo a Ungaretti per questa concreta capacità espressiva, non disconoscendo tuttavia che un po’ d’influsso del Pascoli è presente, e in effetti è così. L’abilità di Oselini è stata quella di amalgamare in pressoché perfetto equilibrio la capacità di sintesi del padre dell’ermetismo con la malinconica dolcezza del decadente Giovanni Pascoli, e questo è indubbiamente un merito e fa di questa raccolta un qualche cosa di nuovo nel panorama letterario italiano, ed é quindi anche per questo meritevole della massima considerazione. E’ inutile che dica che in questo mondo mi piace ritrovarmi, amo riassaporare i gusti di un tempo che è stato, riandare a semplicità di vita ormai sconosciute, e in questo avverto anche lo spirito di un grande poeta, per non dire grandissimo, mantovano come il sottoscritto e come l’autore, quel Publio Virgilio Marone che nelle sue esemplari Bucoliche seppe così bene parlarci di una realtà, in cui uomo e natura si integravano alla perfezione, ideale e perfetto rifugio dagli sconvolgimenti, anche drammatici, di cui gli umili, unici autentici validi rappresentanti del genere umano, sono spesso vittime incolpevoli.
E La mia casa, che dona il titolo all’intera raccolta, bene rappresenta, nel suo esemplare equilibrio formale, fatti ormai irripetibili (…/ e cancelli aperti / su filari / di mele cotogne / pesche / e ciliegie / per il rito / sacro a mia madre / della mostarda / di Natale).
La mia casa è una gran bella raccolta, di rara elevata qualità.