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Una sinfonia sulla vita
Franca Canapini non mi è sconosciuta; di lei ho già letto e recensito Stagioni sovrapposte e confuse (Montedit, 2010), una silloge in cui le stagioni non sono quelle astronomiche, ma esprimono metaforicamente il ciclo della vita, e Tra i solstizi (Aletti, 2011), altra raccolta di poesie volta a una interiorizzazione, a un approfondimento intimo alla scoperta di se stessa. In ogni caso la tematica ricorrente è l’uomo e il tempo, il suo breve percorso in cui si affanna a comprendere l’incomprensibile, un desiderio tanto più forte quanto più trascorrono gli anni.
Non mi sono quindi meravigliato di una nuova riproposizione dell’argomento con questa recente silloge dal titolo emblematico Il senso del SEMPRE; certo, l’esperienza maturata, lo scavo sempre più profondo danno luogo a un’opera, che pur nell’ambito del fil rouge così caro all’autrice, si presenta rinnovata, ma non si tratta di un’operazione di semplice restyling, bensì questa volta di uno svolgimento più ambizioso, secondo una consecutio logica che unita alla musicalità dello stile, caratteristica propria della Canapini, inducono, per tempi, ritmi e scelte, a considerarla una sinfonia, sulla vita e intorno alla vita.
Al riguardo basti pensare che inizia con un Preludio (Sono nata quando vendemmiano le viti / le melagrane accendono le siepi;…) che in effetti introduce al tutto facendo balenare nel lettore l’idea che al tempo passato ci si debba richiamare, più che a un paradiso perduto, a un’epoca irrinunciabile e non più proponibile, così distante dall’attuale, frenetica, tutta protesa alla rapida realizzazione di falsi scopi, rincorrente un futuro inevitabilmente uguale e avaro di soddisfazioni morali.
Oggi tutto è diverso, il sogno è bandito e così anche la luna non incanta più (…Spegniti luna! Ho perso / la leggerezza dell’infanzia / l’euforia per i giochi a nascondino / il candore dell’anima che teme; / dentro le tue quinte / non sono più capace di giocare. /…).
Senza che ci sia tristezza, resta comunque un velo d’amarezza, con quella consapevolezza che deriva dal volgersi all’indietro per cercare il senso della vita; sì, c’è anche un po’ di rimpianto, perché in fondo gli anni da tempo andati appaiono come fantasmi che emergono dalle brume di un oblio che il ricordo cerca di diradare. E’ questa memoria il sale della vita, la certezza, unica, di aver vissuto, ma noi piccoli uomini, la cui esistenza è breve come il battito d’ali di una farfalla, ci sforziamo comunque di sognare, per continuare (… è tempo di lasciare il campanile / salutare le vie della città / tentare l’incerto e la fortuna /…).
E così, fra un accordo di violini, un rombar di timpani, un acuto di trombe, la sinfonia propone le sue note per arrivare a un finale in cui Franca Canapini, memore di una certa inclinazione per il “mito” e anche l’epica, chiude nel migliore dei modi la composizione. Ma non c’è solo la forza dei versi, lo scandire sillabico, il rincorrersi delle parole a esaltare dei o semidei, c’è molto di più, con quella conclamata consapevolezza della nostra fragilità, con l’anelito a rifugiarsi nel sogno perché la realtà di un’esistenza a tempo determinato potrebbe anche farci impazzire (da Don Quijote – Eppure vedevo giganti, a frotte / - e dite che erano pale di mulini. / C’era la nebbia e il vento / (desolata Mancia) / - e forse calpestavo la neve delle cime. /).
Ecco, la ricerca non è finita, continua, pur nella certezza che alle domande Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?, non c’è risposta.
Il senso del SEMPRE ritaglierà sicuramente uno spazio nell’animo di chi legge, perché tema e svolgimento sono assai interessanti, ma soprattutto il primo ha il carattere dell’universalità.