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La Sicilia, il suo cuore. Favole della dittatura 2011-10-10 21:05:26 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    10 Ottobre, 2011
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I primi scritti di Sciascia

Leonardo Sciascia è un autore che apprezzo in modo particolare e ho già letto molte delle sue opere, ma non tutte, e così piano piano vado alla ricerca di quelle che mi mancano, e non nascondo che riesco a trovare delle gradite sorprese. Sì, perché se è vero che già conosco i suoi lavori più famosi, è altrettanto vero che in quelli minori mi imbatto, con regolarità, in autentici gioielli, un po’ trascurati oggi proprio perché si tende ad accostare il nome di Sciascia a romanzi di grande impatto, come Il giorno della civetta, Todo modo, Il contesto, per non parlare poi della saggistica di tutto rilievo rappresentata da La scomparsa di Majorana e da L’affaire Moro.
Proprio in questi giorni ho avuto per le mani due opere, riunite in un unico volume dalla casa editrice Adeplhi che pubblica la quasi totalità della produzione dell’autore agrigentino. Si tratta di due lavori giovanili Favole della dittatura e La Sicilia, il suo cuore, usciti rispettivamente nel 1950 e e nel 1952, opere che, benché assai lontane qualitativamente da Il giorno civetta, che è del 1961, tuttavia evidenziano, per stile, originalità e anche contenuto le grandi capacità espressive di Sciascia, che si sarebbero poi rivelate solo in seguito già con Le parrocchie di Regalpetra.
La Sicilia, il suo cuore è una breve raccolta poetica, che prende il nome da una delle liriche che la compongono. E’ opportuno dire che si tratta dell’unica esperienza in versi dell’autore siciliano, senz’altro più incline alla narrativa, e benchè non ci siano aspettative particolari al riguardo, si tratta comunque di un lavoro positivo, anche se non eccelso, una visione metafisica che è ancor più accentuata nelle Favole della dittatura, brevi brani di prosa, in cui prevale l’allegoria che denuncia le storture e gli orrori del regime fascista.
Anche per una questione temporale, parlerei prima di queste ultime, in sembianza di favole, e in cui gli animali, sempre contrapposti (il lupo con l’agnello, il gatto con il canarino, ma vi è anche l’uomo con il topo o con l’asino) evidenziano netta la divisione fra vittime e carnefici, fa dominati e dominatori.
Sovente sono di una brevità quasi disarmante, ma intrise d’ironia, quell’ironia che caratterizzerà sempre i lavori di Sciascia, come in questa “Pieno di guidaleschi e di acciacchi, il vecchio cavallo non si avvicinava alla mangiatoia se non quando il mulo se ne allontanava. E il mulo pensava: - Sì, la tua razza è pura; ma il fieno che mangi è quello che io ti lascio.”.
Questi raccontini destarono peraltro l’interesse di Pier Paolo Pasolini, che al riguardo scrisse un saggio, dal titolo Dittatura in fiaba, apparso il 9 marzo 1951 su La Libertà d’Italia e che molto opportunamente l’editore Adelphi ha riportato in calce al volume. Sono poche pagine, ma che meritano di essere lette, perché sono illuminanti delle grandi capacità critiche dello scrittore e regista, che riconosce a Sciascia quelle qualità che poi emergeranno in modo più evidente nelle opere successive.
Un interesse particolare, almeno per me che mi diletto di poesia, è rappresentata dalla breve raccolta La Sicilia, il suo cuore.
Tengo subito a precisare che non ci troviamo davanti a un nume sacro, a un poeta di notevole rilievo, ma questi versi, tuttavia, hanno una loro grazia, una loro levità che sono indubbiamente apprezzabili, un caleidoscopio di immagini, un approccio con la metafisica, che stupisce in un autore razionale fino all’osso, coerente nel suo intransigente pragmatismo, un analista del concreto che anche nelle ipotesi non si svincola dalla tangibilità dei fatti, e che scava senza lasciarsi andare a voli pindarici, ma in prospettiva di una continua ricerca della verità, o meglio ancora delle verità.
Eppure, queste poesie, a verso libero, hanno slanci di fantasia, che partendo dall’immagine ne trascende l’esteriorità per tentare di andare oltre, in quello spazio senza confini e senza tempo in cui si può correre svincolati dal peso della realtà terrena.
Che si tratti della poesia che dà il titolo alla raccolta, cioè La Sicilia, il suo cuore, o che invece ci si avventuri nella descrizione di uno stato d’animo stagionale (Un velo d’acque), non si può che convenire che forse Sciascia avrebbe potuto, solo che avesse voluto, dire la sua anche in poesia.
(Da La Sicilia, il suo cuore: Come Chagall, vorrei cogliere questa terra dentro l’immobile occhio del bue.). Un verso, semplice e illuminante, in cui c’è la contrapposizione fra il dinamismo di Chagall e la staticità dell’occhio bovino, assimilabile a quella dell’isola stessa.
Per contro, in Un velo d’acque ( Un velo d’acque trepido di sbocci /smemora ora la terra. /….) prorompe una visione quasi onirica nel passaggio dall’inverno alla primavera, ma il tutto non è fine a se stesso, cioè non è un mero esercizio di stile, ma preconfigura quello che poi alla fine sarà lo stato d’animo del poeta.
Concludo dicendo che la lettura di questo libro non solo è sempre gradevole, ma porta a soffermarsi, a riflettere, a pensare, ed è per questo che l’opera non è minore; c’è uno Sciascia in embrione, sprazzi di ciò che sarà, ma bastano questi per giustificare l’acquisto di questo volumetto, dal costo modesto, ma dai grandi contenuti.

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