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Il potere salvifico della poesia
Il poeta traduce in versi le sue emozioni, siano esse liete oppure tristi, ma il percorso che più esalta questa ricerca in se stessi è di frequente motivato dalla sofferenza, un dolore spesso muto, che non traspare, ma che alligna nell’animo, corrosivo, a volte quiescente, ma sempre pronto a colpire. E allora, quando più si avverte, è indispensabile lenirlo con uno sfogo che fa nascere versi spesso struggenti, per quanto temperati da un naturale pudore.
In Paola Sarcià, in questa sua opera prima Occhi di zagara, il dolore si fa verbo, si fa parola, fluisce dall’animo fino al foglio, che imprime e scava, una sorta di specchio liberatorio in cui confrontarsi, svelenire l’animo, mantenere traccia di una sofferenza che va, viene, scompare, ma che tenderebbe sempre a ritornare se non fosse intervenuto il potere salvifico della poesia, un’ancora di salvezza in cui farlo confluire.
Sono rimasta
aggrappata
con unghie
insanguinate
allo scoglio
di un amore.
Oppure
Ho gridato
contro
un cielo
di stelle svanite
contro
una luna
sparsa su una pelle
di dolore.
Ho pianto
su una sedia
al centro
di una stanza
le gambe
rannicchiate
il volto
stuprato
dalle tue menzogne
C’è un motivo di fondo che si ripete, un senso di sfiducia, accompagnato da un intenso desiderio d’amore, un’insoddisfazione con radici antiche che reclama di essere placata.
Tuttavia non manca la possibilità di un rifugio nel sogno, un’astrazione della mente che serve a stemperare, se non a far cessare il dolore.
Densa
cala la notte
involucro
scuro
sulla pelle
oltre le nubi
danzo
tra le stelle
Infatti il poeta ha la possibilità di evadere la realtà con un’irrealtà che costituisce però solo l’uscita di emergenza da una situazione di disagio interiore quando la stessa diventa insostenibile.
Ma tutto è inutile, quando domina l’indifferenza, quando siamo solo ombre in una moltitudine di gente inconsapevole della propria esistenza.
Silenzi
di solitudini
di anime
ad un crocevia
vicine
distanti
nel loro immenso
vuoto
Come dice giustamente Patrizia Garofalo nella sua bella prefazione, la poetessa marchia a fuoco se stessa senza pietà, in una sorta di accettazione del proprio stato, senza odio, senza timore, una condizione indispensabile per continuare.
Quanto ho scritto lascerebbe presupporre una difficoltà di lettura, dovuta alla naturale ritrosia di ognuno di noi ad accettare la sofferenza degli altri, ma non è così, perché quello che per l’autore è dolore per noi che leggiamo diventa malinconia, grazie a quel pudore che ha stemperato lo sfogo espresso in versi.