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Dal profondo pessimismo
La poesia di Davide Vaccino è permeata da un profondo pessimismo, che muove da una visione malinconica della vita, come se l’autore si chiedesse continuamente che logica c’è nel condurre l’esistenza fra le poche gioie e i molti dolori per concluderla poi inderogabilmente con il passaggio di quella porta oscura oltre la quale non vi sono certezze, ma al più speranze.
Già in Presenze e Assenze, edito dal Foglio Letterario, avevo riscontrato questa caratteristica, che trova conferma ulteriore in questa Opera Settima – L’equinozio del tempo - , come del resto precisa Vaccino nella prefazione da lui stesso stilata.
Il problema esistenziale, che è di tutti, in questo poeta assume una veste di particolare drammaticità al punto che vive proprio solo di esso e questo fa sì che a volte possa apparire anche un po’ cinico, ma è solo una parvenza, perché quel flusso di angoscia sottile che, racchiusa nel suo animo, permea i versi non è frutto di uno sguardo disincantato, bensì di un deluso che, nonostante tutto, cerca ancora la sua illusione (…/ ché il Paradiso / può aprirsi a chiunque, / si dice, / e, dunque, io, mi ergo / a Cristo in Croce.). E il pessimismo si accompagna a momenti di scoramento, come se la visione di un buio incipiente venisse stretta nella morsa delle tenebre (…/ Il mio albero, ora, / è un frutice spoglio.) .
Eppure, fondamentalmente, il poeta è legato alla vita, certamente insoddisfacente, pessima, incongruente, irreale nella sua realtà, non rispondente al suo anelito, ma per lui è motivo di confronto, è occasione per analisi interiore, è passaggio nel deserto, ma è ciò che si trova per le mani e che se non riesce ad assaporare, è comunque tutto ciò che possiede, unico bene, unico dolore (…/si capisce d’essere vivi / quando viene la Sera.) (…/Seppellitemi con una poesia / scritta in momenti gioiosi / che narri di giorni felici / che narri di giorni felici /…).
Non a caso poi le liriche sono precedute dall’aforisma di un altro autore, che dalla vita ebbe ben poco se non la soddisfazioni di esprimersi in poesia a livelli eccelsi; sono dell’opinione che queste poche parole siano idonee, molto di più delle mie, a delineare, in breve e con precisione, la poetica di Vaccino. Giovanni Pascoli, uno dei miei poeti preferiti, infatti scrive: Confessa, / che è mai la vita? / E’ l’ombra / d’un sogno fuggente.
Opera settima non è un ombra, ma raccoglie la penombra di un animo, lo sfogo di un poeta in cerca di sé.
Da leggere, senz’altro.