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Non posso essere un mago
Dal momento che il mio profilo riporta, correttamente, una data di nascita corrispondente al 1993, sento di dover brevemente motivare il fatto di aver letto un romanzo di Harry Potter, per la prima volta, all’età di quasi 27 anni. Non che sia una cosa di cui vergognarsi, sia chiaro. Ho visto settantenni leggere “Cinquanta sfumature di grigio”. In treno.
Innanzitutto non sono un amante del fantasy. Soprattutto se di stampo fanciullesco. Evidentemente la mia immaginazione non è delle più fervide. È un genere che, entro certi limiti, riesco a “digerire” nel cinema. Faccio invece molta fatica ad appassionarmi a storie cartacee di maghi, incantesimi, pozioni, vampiri, streghe. A meno che non contengano venature gotiche o horror e, in quanto tali, adulte. In tal caso la situazione può interessarmi. Penso ad esempio ad alcune opere di Lovecraft o King.
In secondo luogo non sono mai stato un fan di Harry Potter. Ricordo di aver visto i primi quattro, o forse cinque, film al cinema. Ma ai tempi era una sorta di rito annuale. Un evento per famiglie. O una serata divertente da trascorrere insieme agli amici, in attesa che i genitori tornassero a riprenderci.
La mia scarsa predilezione, sia nei confronti del fantasy che del celebre maghetto, ha fatto sì che non abbia mai letto alcuni libri di J.K. Rowling che, negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, mi erano stati regalati. Da chi, non me lo ricordo. Sicuramente da qualcuno che non conosceva i miei gusti giovanili in fatto di letteratura.
E allora perché ad aprile sono passato da Calvino a Salinger, e poi a Boll, per arrivare a leggere un libro di Harry Potter? La verità è che non me lo so spiegare. Nei mesi del lockdown ho letto qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani. Dai romanzi agli inserti culturali dei quotidiani fino ai valori nutrizionali delle scatole dei cereali. Ricordo che in quel periodo Mediaset aveva riproposto la “maratona” di tutti i film della serie, con rigorosa cadenza settimanale. Devo aver pensato di rimediare al fatto che un ragazzo del 1993 non avesse mai letto una riga a proposito delle peripezie di Harry Potter. Fenomeno generazionale per antonomasia. O forse mi dispiaceva per quei testi generosamente regalati e mai aperti. Perché regalare un libro è sempre un gesto commovente, a prescindere dai gusti. O più banalmente, per semplice curiosità.
Fatto sta che, con una buona dose di scetticismo, ho letto il primo capitolo della fortunata saga.
Non mi soffermerò sulla trama della vicenda, a dir poco arcinota. Tutti conoscono la storia del piccolo orfano Harry Potter che, nel giorno del suo undicesimo compleanno, si trova catapultato dai maltrattamenti dei perfidi zii Dursley alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Su cui aleggia lo spettro del temibile e malvagio Voldemort.
Il magico mondo creato da J.K. Rowling è indice di una narratrice di grande talento e intuito geniale. Indubbiamente lo straordinario successo iniziale ha rappresentato un sostanzioso incentivo a proseguire la serie fino al settimo titolo. Ma ho avuto la netta percezione che, nella mente della scrittrice, le potenzialità della storia fossero chiare fin dall’inizio. Il vasto numero dei personaggi, le caratterizzazioni, la meticolosa cura nei dettagli e nelle suggestive ambientazioni, gli enigmi in attesa di soluzione, l’impressionante quantità di sottotrame appena abbozzate. Niente sembra casuale. È come se la Rowling sapesse, ben prima che il romanzo d’esordio avesse successo, che la saga avrebbe goduto di un respiro ampio, dove poter sprigionare tutta la propria incredibile immaginazione e ammirevole fantasia.
Per quanto riguarda lo stile ed il tono della narrazione, sarebbe ingiusto etichettare “Harry Potter e la pietra filosofale” come un testo infantile. Resta però il fatto che sia un libro maggiormente idoneo ad una certa fascia d’età. In un adulto, difficilmente può suscitare il medesimo stupore e fascino. Allo stesso tempo, credo che se il primo capitolo, datato 1997, sia stato rivolto ai bambini o ai ragazzi in età da scuola media, l’ultimo romanzo, risalente al 2007, abbia simboleggiato il passaggio di quei giovanissimi lettori dalla pre-adolescenza alla fase della maturità. Presumo quindi che, con il passare dei volumi, le tematiche affrontate abbiano progressivamente assunto un tono più adulto e consapevole.
Motivo per cui, nonostante il tardivo debutto con il mondo fantasy della Rowling non mi abbia propriamente catturato, non escludo di proseguire con i capitoli successivi, riconoscendo alla nativa di Yate un’indubbia abilità narrativa.
“Ricorda: non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere”.
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Commenti
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Il tuo commento conferma la mia impressione riguardo all'evoluzione della narrazione ed è un ulteriore incentivo a proseguire la serie.
Mi ha fatto sorridere il commento sulla PS4.
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