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Sette minuti dopo la mezzanotte
 
Sette minuti dopo la mezzanotte 2018-02-10 15:57:45 La Lettrice Raffinata
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    10 Febbraio, 2018
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Il mostro di cui hai bisogno

Se il mio cuore di pietra non era stato scalfito dalla lettura di “Molto forte, incredibilmente vicino”, con la storia di Conr non c’è diga (emotiva) che tenga. Praticamente mi sono ritrovata con il fazzoletto inzuppato già dall’introduzione, e ne avevo ben donde: infatti questo racconto si può considerare autobiografico per la sua ideatrice, Siobhan Dowd, nonché una sorta di suo lascito, poi ripreso e completato da Patrick Ness.
La trama di profila semplice e lineare, ed è forse per questa ragiona che il romanzo viene spesso etichettato come una lettura per bambini e ragazzi. Conor O’Malley è un ragazzino che ogni notte, alle 12:07 in punto, riceve la visita di un mostro gigantesco; ma Cono non no ha paura, perché sa bene che al mondo esistono essere ben peggiori: ci sono l’indifferenza e la compassione degli insegnanti e dei compagni, c’è la malattia della madre che sembra troppo forte per lei ed infine c’è lo stesso Conor.
Il mostro non mira però a spaventare il ragazzo, infatti dopo anni di immobile attesa sotto forma di un enorme tasso, la creatura si è messa in cammino per narrare tre storie e, soprattutto, per sentire alla fine la storia di Conor stesso, o meglio la sua inconfessabile verità.
Anche contando le storie del mostro, i personaggi di questo romanzo sono davvero pochi, e forse anche per questo il lettore riesce ad affezionarsi ad ognuno in modo speciale, e ad entrare in sintonia con i suoi sentimenti e le sue motivazioni. Ovviamente, su tutti, quello per cui si prova istintivamente empatia è Conor, sebbene sia la contempo l’ultimo a rivelarsi con sincerità.
In generale ho apprezzato un po’ tutti i personaggi, in particolare la nonna di Conor per la sua capacità di cambiare e migliorarsi e Lily per la dolcezza e l’onestà con cui esprime la sua amicizia. Mi è risultato invece difficile empatizzare con il bulletto Harry, perché le sue ragioni rimangono in parte lacunose, ma anche con il padre di Conor che, seppur sia evidentemente combattuto tra le sue due famiglie, avrebbe dovuto sapere come in alcuni casi non si possa usare una stessa misura per tutto.
La complessità e l’ambiguità presenti in tutti i personaggi (con la sola eccezione della madre, forse), ben introducono a quello che è il tema di tutti i racconti e del romanzo in generale: l’impossibilità di distinguere e di scindere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Ciò diventa evidente soprattutto quando il mostro inizia i suoi tre racconti, che sono per l’appunto divisi in due capitoli: nel primo vengono illustrate delle premesse che sembrerebbero portare verso un finale abbastanza scontato, ma poi nel secondo la venuta del mostro porta a galla la verità, per quanto dura possa essere, e tutto viene stravolto. E questo vale anche per il racconto di Conor che, seppur ampiamente anticipato nei capitoli precedenti, rivela con forza una verità struggente.
Sia per i lettori più giovani e (mi auguro) ingenui, sia per chi è maturo e ben consapevole, è molto importante capire che altre alla più ovvia paura di perdere la persona più cara il maggior timore di Conor -e di chiunque si trovi nella sua situazione, a prescindere dall’età- è essere trattato in modo diverso; perché in alcuni momenti persino la gentilezza può ferire.
Lo stile di Ness è abbastanza lineare ed estremamente scorrevole. L’elemento che ho maggiormente apprezzato è stato l’alternarsi tra una dimensione quotidiana, reale e cruda, e un’altra onirica e fantastica, ma ugualmente impervia; tra questi due mondi troviamo Conor, sospeso e al contempo capace di trarre proprio dagli incubi degli insegnamenti utili nella realtà.
Dalla copertina all’ultima pagina, l’intero volume è arricchito dalle insolite illustrazioni di Jim Kay, in cui si nota da subito un’evidente predominanza del nero, quasi l’artista avesse applicato una tempera bianca su una tela scusa, servendosi di un pennello usurato. Perché in questa opera neanche le illustrazioni sono clementi, ma selvagge.

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