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La luce, infine
Ultimo capitolo della saga, la storia giunge ad una conclusione e il cerchio si chiude, nel modo più degno possibile. Con "I doni della morte" l'autrice riesce a trovare l'equilibrio perfetto, impresa che forse solo col "Prigioniero di Azkaban" era riuscita a compiere, ma questa volta era più importante. Per anni Harry Potter ha accompagnato milioni di persone, appassionando bambini e ragazzi alla lettura, e doveva essere concluso nel migliore dei modi, dando una coerente spiegazione a tutti gli eventi accaduti nei sei romanzi precedenti, e sciogliendo il più elegantemente possibile quel magnifico intreccio di storie, personaggi, luoghi. J.K. Rowling ci è riuscita.
Quella magia che nel primo capitolo si presentava come tenera e sorridente è definitavamente scomparsa, lasciando il posto ad un mondo tanto magico quanto reale: il buio ha preso il sopravvento, e ormai tutte quelle vicende di Hogwarts, i voti, i professori, gli amori "per scherzo" sono solo ricordi, e tutte le pagine trasudano oscurità. Tutto è incentrato sugli horcrux e sul viaggio dei tre amici, che, oltre alle loro forze, possono solo contare sui misteriosi aiuti lasciati da Silente.
Scorrendo le pagine, catturati dalla voglia di vivere e combattere la battaglia finale, è evidente un richiamo alla Seconda Guerra Mondiale, e ciò non fa che rendere più appassionante e "reale" il mondo con cui abbiamo a che fare: poveri perseguitati vengono uccisi ogni giorno, e molti sono costretti a fuggire, chissadove; si formano delle coalizioni nascoste, dei gruppi di sopravvissuti, che riescono a dimostrare che, nonostante tutto, una fievole luce potrà sempre resistere alla più profonda delle oscurità.
Non c'è un momento di noia, non ci sono pagine superflue, non ci sono dialoghi inutili, tutto è utile ai fini della storia. Ogni capitolo è curato, raffinato, e la Rowling mostra l'esperienza acquisita negli anni con uno stile adatto a tutti, uno stile che è cresciuto lentamente nello stesso modo in cui sono cresciuti i lettori. Anche Harry non è più quel ragazzino di undici anni, ma è un ragazzo maturo e cosciente di se stesso e del mondo che lo circonda, e come una volta poteva vedere un mondo più roseo ora lo vede solo com'è realmente.
Spesso Harry viene criticato come personaggio, ritenuto un protagonista meno accattivante di altri personaggi della stessa saga, come Piton, Sirius, Silente, o gli stessi Ron ed Hermione, e le sue scelte e azioni vengono definite insensate o sciocche: i gusti personali e le idee sono sacre, guai a limitarli, ma Harry raggiunge la sua completezza proprio con quest'ultimo capitolo, diventando un personaggio incredibilmente realistico, e forse proprio per questo non universalmente amato. E' un ragazzo di diciassette anni fiondato in un'avventura che neanche lui voleva vivere, circondato da amici come sconosciuti che si sacrificano per farlo proseguire nella sua strada; prende decisioni giuste come sbagliate (e che noia sarebbe ad avere un eroe perfetto in ogni momento); soffre più di chiunque altro, ma, alla fine, è in grado di mantenere, proprio grazie a quella fievole luce accennata prima, il senno e la bontà.
Un po' come un romanzo del periodo umanistico, anche qui tutti quei nomi, quei luoghi, quegli oggetti, tornano proprio nel finale, a dimostrazione di un mondo effettivamente aperto e non limitato alla pura narrazione.
E tutto si chiude.
Certo quello di "Harry Potter" non è un universo paragonabile, ad esempio, con quello del "Signore degli Anelli" o de "Le cronache del ghiaccio e del fuoco", ben più vasti e vari (e reali sotto questo punto di vista), eppure non è a questi inferiore. Tutto viene ricongiunto coerentemente, tralasciando qualche piccolo errore di cronologie temporali o simili, eppure sono ancora milioni i lettori, e perchè no, gli spettatori, che sperano di avere altro materiale sul mondo del mago eroe, oltre all'attuale "Animali Fantastici", come nuovi romanzi sui Malandrini o la Prima Guerra, ulteriore dimostrazione che, forse, quel magico mondo, è ancora aperto a chiunque voglia entrarvi.