Dettagli Recensione
Lane, Sadie e la TBC.
Quando il diciassettenne Lane arriva alla Latham House è in una fase della sua vita di rifiuto. Non riesce proprio ad accettare che tutti i suoi obiettivi (Stendford, mantenere il secondo posto nella classifica di studenti migliori del suo liceo, dedicarsi ad attività extracurriculari necessarie ma non indispensabili per aumentare la soglia del suo rendimento già del 99% di altri 30 punti) siano stati messi in pausa, rimandati ad un futuro indeterminato.
La coetanea Sadie è nel centro già da quindici mesi e tutto si sarebbe aspettata tranne che vedere tra i nuovi compagni di sventura quell’ex compare di campo estivo, un giovane al tempo tredicenne a cui sono legati spiacevoli ricordi.
Ma cos’è la Latham, perché conta soltanto 150 ragazzi più annessi medici e docenti? E per quale motivo è situata in un luogo così distante dalla civiltà dove ogni mezzo di comunicazione tecnologico (telefonia mobile, internet seppur in parte) è vietato? Perché la struttura è un moderno sanatorio dove gli abitanti sono tutti affetti da tubercolosi (TBC), nel caso specifico una forma particolarmente aggressiva – non esistente nella realtà – immune ad ogni somministrazione farmacologica e per la quale si rende dunque necessario l’isolamento.
Dopo un iniziale momento di collisione tra i protagonisti a causa di un fraintendimento del passato, i due riallacciano i rapporti e Lane entra a far parte del gruppo della ragazza composto da Marina, Nick e Charlie.
Dal momento in cui conosce i giovani tutta la prospettiva che fino ad allora aveva costituito la sua l’esistenza viene stravolta. Quando Lane giunge nel tubercolosario è infatti sfinito dagli studi, la sua visuale non va oltre i compiti del corso avanzato, non sa cosa significhi essere. Sadie al contrario si aggrappa con tutte le sue forze alla paura di vivere, ha interiorizzato i suoi timori. La Latham ha per questa rappresentato un nuovo inizio e non è certa che tornare alla vita “fuori” sia la cosa più opportuna e migliore per lei.
Con “Svegliami quando tutto sarà finito” l’autrice rievoca la memoria del lettore circa una patologia che nell’universo comune è percepita come un male del passato dai più disparati nomi ma di fatto ad oggi non più pericolosa. In realtà, non è così.
Prendendo in prestito l’idea del sanatorio privato simile ad una spa proprio de la “Montagna incantata” di Mann, istituto a cui ha poi attribuito il nome di Latham House in onore del Dott. Arthur Latham, famoso medico inglese che ha pubblicato manuali per il trattamento della TBC all’inizio del XX secolo, aggiungendo la paura del contagio, nonché quell’atmosfera simile ad una scuola che abbiamo imparato a conoscere in “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, Robyn Schneider ha dato vita ad un romanzo fluente, capace di far riflettere il lettore sulla malattia nonché sulle problematiche alla stessa attinenti.
La storia di per sé è semplice e la stessa esperienza con la TBC è mitigata, addolcita dall’aspetto romantico dettato dai due protagonisti e dalle loro diverse esigenze. La sensazione sul finale è quella dell’incompletezza, come se allo scritto mancasse qualcosa ma non dal punto di vista narrativo quanto contenutivo, nello specifico relativamente alla patologia. Essendo l’autrice nel settore medico nonché avendo un master in bioetica istintivamente ci si aspetta un maggiore approfondimento dell’aspetto a lei proprio. Resta comunque una lettura piacevole con cui trascorrere un pomeriggio di svago.
Indicazioni utili
- sì
- no
no = a chi cerca nelle letture approfondimenti di vario genere. Nel caso di specie l'autrice, nonostante l'idea sia buona, non sviluppa pienamente il tema della malattia.