Dettagli Recensione
Città di carta, persone di carta.
Margo Roth Spiegelman è un vero e proprio miracolo per Quentin Jacobsen, vicino di casa nonché compagno di scuola innamorato della predetta. E come resistere, d'altra parte, a questa non solo affascinante ma anche avventurosa ed intraprendente ragazza? Mentre tutti si limitano a vivere seguendo un percorso logico ed ordinato questa lo rifiuta, è uno spirito libero e come tale ha bisogno di evadere, di ricercare altre strade, di fuggire. E le fughe per l'eclettica ed egocentrica protagonista non sono mancate negli anni, ecco perché quando alla vigilia del diploma, dopo una notte di piccole ma inesorabili vendette, di risvegli dal torpore, dalla ricerca di alternative con Quentin, detto Q, i suoi genitori non restano sorpresi dalla sparizione. Tutti, tranne Quentin, non sono minimamente preoccupati dalla sua scomparsa. Eppure c'è qualcosa di diverso dalle altre volte, qualcosa che fa immediatamente comprendere al vicino che questa non sarà una dipartita come le solite, sarà un “voltarsi per non tornare indietro”, il più chiaro degli addii.
Una serie non indifferente di contraddittori indizi dalla stessa disseminati si fanno largo tra le giornate di scuola e preparazione al diploma, piste a seguito delle quali ogni possibile ed inimmaginabile catastrofico scenario fa capolino nella mente di Q. Perché quel riferimento alle “città di carta”, alle “persone di carta” proprio durante la notte antecedente la sua sparizione? Che Margo voglia essere ritrovata? Che voglia che sia proprio Jacobsen a riportarla a “casa”?
Inizia così l'avventura di Q e dei suoi amici Ben, Radar e Lacey alla ricerca della studentessa. Una ricerca che sarà caratterizzata dalla ricostruzione di un vero e proprio puzzle non solo in merito alle tracce ritrovate ma anche (soprattutto per il protagonista) su loro stessi, sulla diversa percezione che ognuno aveva (ed ha) della giovane ma anche della diversa percezione che ognuno di loro ha di sé e di chi ha accanto, un viaggio alla riscoperta del “cosa è vero” e “cosa è di carta”.
L'idea di Green è interessante ed attuale seppur non brilli per autenticità. Tutto ruota intorno al concetto dello specchio anche se credo sia più opportuno parlare di “maschere” e questo inevitabilmente mi riconduce al caro ed ineguagliabile Pirandello e a molti altri storici letterati. Per l'americano il punto di partenza è che tutti indossiamo una maschera diversa a seconda del ruolo che vogliamo rivestire e del con chi siamo in quel determinato contesto. Di conseguenza la mia percezione di Tizio è diversa da quella che Caio ha del medesimo perché con me quella persona si è comportata in un modo e con quest'ultimo in un altro. Si crea pertanto un meccanismo in cui tutti credono di conoscere l'individuo al proprio fianco quando in realtà nessuno conosce nessuno, in cui il “vero io” della persona non esce mai perché sempre camuffato da un travestimento diverso. Questo fino a quando non si raggiunge un limite e si pensa di poterlo prevaricare scappando, ricominciando da zero. La realtà dei fatti dimostra che non basta cambiare luogo perché ovunque si vada “la maschera”, o lo specchio per chi preferisce la versione americana, è sempre nel bagaglio di viaggio.
Tutto ciò porta non solo a ritenere di “conoscere” ma anche ad idealizzare la persona e Q non è immune da ciò. Per ritrovare Margo non basterà affidarsi su quel “che sappiamo di lei”, mettendo a paragone ogni indizio, ogni percezione, se ne ricaverà una persona completamente diversa da quella creduta e più andrà avanti “l'indagine” e più Quentin si renderà conto di quanto poco realmente sapeva di lei, di quando l'aveva idolatrata, di quanto in realtà la Spiegelman si sentisse vuota, sola, incompresa, di quanto non fosse la personalità indipendente, lo spirito libero che voleva far credere di essere rivelandosi altresì un'adolescente viziata, paurosa, timorosa del giudizio altrui nonché alla ricerca di attenzioni da parte di genitori incapaci di donare amore.
Il romanzo è capace di mantenere viva l'attenzione del lettore dall'inizio alla fine e raggiunge il suo culmine nella parte conclusiva dove si tirano le fila dei fatti avvenuti e dove i protagonisti affrontano un viaggio di 21 ore nella speranza di raggiungere l'amica.
Munito di uno stile semplice e diretto “Città di Carta” è un testo che si legge in un paio di giorni e che invita alla riflessione. Avendo divorato ed amato i classici non posso dire che brilli per originalità ma riconosco che, in particolare nell'età moderna dove sempre meno persone – soprattutto giovani – si dedicano alla lettura, è uno scritto capace di attrarre e di affascinare nonché invitare a tale nobile passione.
«[..] Ormai ho capito che non posso essere lei e che lei non può essere me. Forse Whitman aveva un dono che io non possiedo. Per quanto mi riguarda, io devo chiedere al ferito dove gli fa male, perché non posso diventare lui. L'unico ferito che posso essere sono io. »